Così si divide la Chiesa in vista delle elezioni europee

Le elezioni europee animano il dibattito nella Chiesa: c'è chi guarda alla bioetica e chi continua a rilanciare solo sull'accoglienza

Così si divide la Chiesa in vista delle elezioni europee

Affermare che la Chiesa cattolica è divisa al suo interno rappresenta sempre un azzardo narrativo. Perché διαβάλλω (diabàllo), per il papa e per i chierici tutti, è un verbo coniugato dal maligno. Chi ha il privilegio di raccontare, però, deve travalicare gli steccati linguistici e quelli dottrinali, perché il contrasto è di dominio pubblico.

IIl populismo-sovranista è il nemico pubblico numero uno delle Conferenze episcopali europee in vista delle elezioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo, Lussemburgo e Bruxelles. Il Vaticano ha anche stilato un documento: "I movimenti umani, pur generando sfide e sofferenze, stanno arricchendo le nostre comunità, le Chiese locali e le società di ogni continente". Non si tratta solo di difendere la libertà di circolazione: è l'elogio del multiculturalismo. Per il vertice dei presuli incaricati nell'Unione europea, quello sovranista è un "gioco infame". Non c'è alcun "Trono di spade", ma pure in questo caso, per certi ambienti ecclesiastici, sembra buono l'adagio secondo cui "o si vince o si muore". Dicono che se i populisti trionfano perisce l'umanitarismo e che l'unico legame possibile col popolo è quello di matrice cristiana. Padre Arturo Sosa, che è il preposito generale della Compagnia di Gesù, ha sostenuto alla fine dell'anno passato che "il populismo è una minaccia molto pericolosa per lo sviluppo politico e sociale del popoli". Rimanendo dalle parti della serie tv della Hbo, l'avvento dell'identitarismo politico, per certa Chiesa, somiglia alla "lunga notte" dell'Europa. Ma il discorso potrebbe essere presentato al contrario, con quelli che si ergono a strenui difensori della civiltà occidentale, gli anti-migrazionisti, a fare da "Guardiani della notte". Il cardinale austriaco Christoph Schönborn ha lanciato un monito - era ancora ottobre - su come il populismo possa sfociare in forme autoritarie di dominio. La disamina è chiara. "Salvano - ha detto papa Francesco durante l'estate scorsa, riferendosi a chi opera nel Mediterrano - la vita del povero picchiato dai banditi, senza chiedergli chi fosse, la sua origine, i motivi del suo viaggio o i documenti...: ha semplicemente deciso di prendere in carico e salvare la vita". È qui, in queste scelte pastorali, che la Chiesa "ospedale da campo" interviene sulle cose degli uomini.

C'erano solo due cardinali, tre giorni fa, a Roma, per l'edizione annuale della Marcia per la Vita: Raymond Leo Burke e Willem Jacobus Eijk, un americano e un olandese. Quando ieri è stata data la notizia dell'avvio della procedura medica volta all'interruzione delle cure per Vincent Lambert, a tuonare per primo - poi un tweet è arrivato pure da Santa Marta - è stato il cardinal Robert Sarah. Sono quelli che i media progressisti chiamano tradizionalisti. Forse perché si occupano di anime con cadenza maggiore rispetto ad altri. C'è una costante comune: nessun ecclesiastico sembra disposto ad accettare il "divenire della storia" con modalità passive. C'è chi riallaccia i contatori agli occupanti di Action e chi, affrontando il tema della gestione dei fenomeni migratori, associa certe associazioni umanitarie all'aggettivo "strane". Come ha fatto sempre il prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti in un'intervista.

Lì, tanto nei sacri palazzi quanto nelle periferie economico - esistenziali, tutti gli uomini di Chiesa sono impegnati ad andare verso il mondo, solo che sembrano guardare in direzioni diverse, individuando nella bioetica o nell'accoglienza la priorità per l'Europa che verrà,

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