Le strategie vincenti di Renault e Vw, modelli per Marchionne

La Borsa, più dei dati sulle imma­­tricolazioni, è il termometro migliore per comprendere lo stato di salute di un gruppo automobilistico e le aspet­tative dei mercati. Lo si è visto, per esempio, nei giorni scorsi quando Piazza Affari ha praticamente ignora­to il forte calo delle vendite della Fiat in Italia (anche ieri titolo in rialzo e vici­no ai massimi dell’anno). In questo momento, però, sono Renault e Volkswagen a calamitare più degli al­tri l’attenzione. Cominciamo dai fran­cesi. Ieri Le Figaro , seppur con un ec­cesso di ottimismo, ha segnalato che la società registrerà nel 2010 un utile netto di circa 3,3 miliardi, grazie ai ri­sultati positivi di Nissan (di cui detie­ne il 44% e con la quale è alleata da 10 anni) e alla cessione di parte della quo­ta nei camion Volvo. In realtà, quan­do il presidente Carlos Ghosn tirerà le somme, il risultato sarà positivo e gli obiettivi, prefissati dodici mesi prima, tutti raggiunti. «Ma non evi­denzieremo utili nella misura ripor­tata dal quotidiano», avverte una fonte, abbassando così la bandiera a scacchi sul toto-profitti. La stagione d’oro di Renault, che ha nell’Eliseo l’azionista di riferi­mento con il 15% (un esempio vir­tuoso di convivenza), trova i suoi ri­scontri nel boom che la casa sta vi­vendo su alcuni mercati emergenti (Russia, Brasile e India) grazie so­prattutto alla controllata Dacia, che ha iniziato a sfornare modelli dotati di un certo appeal, e non solo robu­sti e capaci di accontentare le esigen­ze di mobilità e portafoglio. Re­nault, comunque, chiuderà un buon anno anche perché beneficia dell’andamento positivo di Nissan, il marchio globale del gruppo che continua ad avanzare in particolare negli Usa. Nissan, inoltre, farà da battistrada dell’Alleanza sul fronte elettrico (la berlina Leaf è pronta a debuttare) sul quale Ghosn ha scommesso la bellezza di 4 miliardi di investimenti. Insomma, all’usci­ta di un anno sicuramente complica­to per tutto il mondo dell’auto e no­nostante la riduzione degli incenti­vi sul mercato domestico, Ghosn ve­de ripagata la sua strategia interna­zionale. L’auspicio, in tutta sinceri­tà, è che la casa francese riprenda la bussola in tema di design e torni, co­me sta fattivamente cercando di fa­re da qualche anno, a proporre auto appaganti anche alla vista. Eccoci ora a Volkswagen e all’ac­coppiata di vertice costituita dal set­tantatreenne Ferdinad Piëch, presi­dente del consiglio di sorveglianza e ispiratore dell’exploit del gruppo, e da Martin Winterkorn, l’ammini­stratore delegato- stratega che lo sta­to maggiore di Wolfsburg intende confermare fino al 2016. Al di là del­­l’effetto positivo derivato dall’eco­nomia tedesca, tornata a fungere da «locomotiva», quello che si prepara a diventare (nel 2018) il primo co­struttore mondiale di auto, vede pre­miata la politica degli investimenti sulla gamma modelli, passati da 28 a 65 per tutti i 9 marchi, coprendo a 360 gradi l’offerta, furgoni e camion inclusi. Nessuna sovrapposizione, tutto funziona a meraviglia. Tanti marchi, insomma, che condivido­no ( come nel caso dell’Alleanza Re­nault Nissan), piattaforme avanza­te, beneficiando così delle econo­mie di scala. Con un valore aggiun­to: essersi accaparrati una coppia d’assi nel design, ovviamente «ma­de in Italy»: Walter de’ Silva e Gior­getto Giugiaro con tutta la sua Italde­sign. I nuovi investimenti e le 50mi­la assunzioni nel mondo annuncia­te la dicono lunga sulla voglia di pri­mato di Piëch e Winterkorn. Un ruolo non indifferente nello sviluppo verticale di Volkswagen lo si deve ai sindacati che hanno credu­to nei piani di rilancio dell’azienda (nel ’93 a Wolfsburg i conti erano in rosso, mentre ora i tedeschi posso­no permettersi di investire 51 miliar­di entro il 2015).

Sergio Marchion­ne, con la Chrysler e i marchi del gruppo Fiat, punta a recuperare il tempo perduto prima del suo arrivo e a presentarsi nel 2014 con una real­tà competitiva (3 milioni di auto su tre architetture principali, come ri­cordato da Harald Wester, ad di Alfa e Maserati in un incontro a Londra) e le fabbriche «girare» nel modo vo­luto. Anche a costo di cedere alle lu­singhe di Piëch e rinunciare all’Alfa.

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