La Milano da vivere adagio tra chiostri, bistrot e musei

Il libro di Teresa Monestiroli racconta gli itinerari di una «slow-city» possibile anche nel regno della fretta

La Milano da vivere adagio tra chiostri, bistrot e musei

Ammettiamolo: tutti abbiamo riso, ci siamo riconosciuti, presi in giro e passeggiato sul filo tagliente dell'autoironia con il sarcasmo del Milanese Imbruttito, che inquadra al millimetro un certo tipo di meneghinità postmoderna e psicotica fra ansie, nevrosi e sbattimenti 2.0. Ora però è arrivato il momento di staccare e prendersela più calma, anche se fra un tram, una metro, un taxi che non arriva mai, una coda al semaforo e un appuntamento (sempre urgente, ovvio) ci abbiamo perso l'abitudine. In ogni caso no panic, il rimedio è bell'e pronto: l'anititesi - e antidoto - all'abbrutimento metropolitano si chiama Milano Adagio. A spasso per la città a ritmo lento, una guida controcorrente di Teresa Monestiroli (Enrico Damiani Editore, 208 pagine, 15 euro) presentata in questi giorni che ci invita a tirare un bel respiro, rallentare il passo e iniziare a guardarci intorno, anche dove sembra che le bellezza non abbia lasciato tracce: quello in cui ci si immerge, fin dalle prime pagine, è un cammino a passi lenti nella Milano caotica e frenetica - di cui, per una volta, diventiamo semplici spettatori - ma anche per chiostri, giardini e abbazie fuori porta alla ricerca di inaspettati silenzi.

Per concedersi una volta tanto il tempo di pensare, alzare lo sguardo al di sopra delle preoccupazioni e lasciarsi afferrare dal fascino della lentezza. Magari con in mano una tazzina presa non alla macchinetta dell'ufficio, ma al Giacomo Caffè, il bar letterario dentro Palazzo Reale, che non affacciandosi direttamente sulla piazza è meno affollato degli altri. Oppure vagabondando per la Triennale fra mille ricordi di un passato mitico, come i primi Moon Boot, il telefono Grillo, le librerie Lips Vago o le radio Brionvega. Passando al Cenacolo alle 8 del mattino per comprare un biglietto senza prenotazione.

Soffermandosi ad ammirare il frammento di luna custodito al Museo della Scienza. Contemplando i tesori di Santa Maria della Passione, in via Conservatorio. E poco a poco si compie il miracolo: la città più trendy d'Italia, il dinamico place to be in cui non si capita mai per caso ma si ha sempre da fare, lavorare, incontrare e correre diventa la capitale della lentezza. La guida, volutamente «parziale» e pensata per i più frettolosi e disattenti, contiene anche una mappa del «comfort food», per sedersi a tavola e assaporare non solo i cibi, ma anche gli istanti.

Dove? Alla Trattoria Milanese di via Santa Marta, ad esempio, con il suo impareggiabile riso al salto. Oppure alla pasticceria Marchesi, in corso Magenta, per gli amanti della crostata alla crema. Chi preferisce i cannoncini può fare un salto da Panarello, mentre davanti alle vetrine corre il viavai di Porta Romana. E che dire dei marron glacé di Galli, a due passi dal Duomo? E della focaccia di Manuelina, in Santa Redegonda, un pezzo di Recco a Milano? Per il pranzo, poi, si può passare alla Bottiglieria da Pino, in via Cerva, all'Antica Hostaria della Lanterna (via Mercalli) o alla Madonnina di via Gentilino. E poi le librerie, dalla Hoepli al Trittico di via S. Vittore, le inaspettate isole di verde urbano, dall'Orto botanico di Brera ai cipressi calvi al Lambro, in fondo a via Feltre, passando per Boscoincittà di via Novara - con tanto di birretta alla cascina di Mare culturale urbano -.

E ancora le collezioni (su tutte quella del Poldi Pezzoli), i giardini (da Perego a Villa Reale), e la ricchissima proposta artistica della città e dell'hinterland. C'è da perdersi, insomma, ma riservandosi tutto il tempo per farlo, senza i minuti contati.

Sulle tracce delle parole di Lamberto Maffei, che nel suo «Elogio della lentezza» - un must per gli amanti della slow life - avverte: «In un mondo che corre vorticosamente il problema della lentezza si affaccia alla mente con prepotenza. Andare più veloci non significa conoscere più di quello che la strada offre».

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