Dottor Marchionne, ha visto tutte quelle firme al Giornale di suoi operai a sostegno del posto di lavoro e contro chi strumentalizza politicamente i contrasti tra la Fiat e una parte del sindacato?
«Ho visto - risponde l’amministratore delegato di Fiat Spa e presidente di Fiat Industrial, subito dopo aver battezzato, insieme a Raffaele Jerusalmi, ceo di Borsa Italiana, la quotazione di camion e trattori a Piazza Affari - e apprezzo quello che queste persone hanno fatto. Ritengo sia un riconoscimento alla validità di quello che stiamo portando avanti. Non ho intenzione di ritirare il piano per Mirafiori: impegno e progetto per produrvi modelli Alfa Romeo e Jeep esiste. Quello che non posso fare è convincere le persone a lavorare in fabbrica».
Alla Fiom sono convinti che se al referendum sull’accordo di Mirafiori prevalessero i «no», anche con il 51%, lei si rimetterebbe al tavolo. In pratica, si ricomincerebbe tutto da capo.
«Se vince il “no” con il 51% la Fiat non farà l’investimento su Mirafiori».
Pensa che per il prossimo giugno il piano Fabbrica Italia, con i 20 miliardi d’investimento previsti, possa decollare?
«Ritengo offensivo che mi si continuino a chiedere i dettagli del piano. Se un manager arriva dall’estero con un assegno di 5 o 10 miliardi per investire qui, si fa solo un favore a non importunarlo. Il piano, infatti, lo finanzia lui e darà benefici al Paese. Dico solo che Mirafiori è inclusa in questo progetto. Nei giorni scorsi, insieme all’allora presidente Lula, ho inaugurato una nuova nostra fabbrica in Brasile. E nessuno si è permesso di chiedere spiegazioni sulle risorse destinate nei prossimi cinque anni».
Quindi, togliendo gli investimenti su Pomigliano d’Arco e Mirafiori, resta il top secret sugli altri 18 miliardi.
«Smettiamo di comportarci da provinciali. Questi 18 miliardi, quando arriverà il momento, li metteremo. I sindacati sono bravi a criticare; ebbene, vadano in giro per il mondo come facciamo noi a chiedere finanziamenti».
Che cosa risponde a chi ritiene anticostituzionale lasciare un sindacato (la Fiom, in questo caso) fuori da una fabbrica?
«Io non ho lasciato fuori nessuno, sono assolutamente tranquillo. Il discorso è rimasto aperto per settimane. Se qualcuno ha deciso di non firmare l’accordo è perché non lo ha voluto».
Qualcuno descrive lei come un ricattatore. Gira anche la vignetta di un «Marchionne-Dracula»...
«Ho letto, e ho visto anche quella».
Tante polemiche, comunque, durante le festività di fine anno...
«Guardi, abbiamo chiuso tutto prima di Natale, dando il massimo possibile. La nostra coscienza è pulita».
E Federmeccanica?
«Ha come obiettivo quello di tenere insieme la struttura. Ma Fiat deve andare per i fatti suoi, ha piani molto chiari. Cercheremo di rimanere nel contesto di Confindustria e Federmeccanica, di fare la nostra parte. Ma la Fiat ha bisogno di libertà gestionale, deve portare avanti i suoi progetti. Non possiamo essere condizionati da accordi che in questo contesto globale non hanno più significato».
E una Confindustria orfana di Fiat?
«Come probabile non la vedo, come possibile sì».
Come giudica il ruolo del governo nelle trattative in corso?
«Molto incoraggiante. Ci ha assicurato tutto l’appoggio necessario per portare avanti il discorso, riconoscendo quello che la Fiat faceva di buono il Paese. A me è bastato quello».
Perché tutto quello che lei sta facendo ora, dallo scorporo del gruppo alla volontà di potenziare il sistema industriale in Italia, la Fiat - cioè i suoi predecessori - non lo hanno fatto in passato?
«Non lo so. Nel 2004, quando sono arrivato, era impossibile farlo. Non esisteva la stabilità finanziaria del settore automotive che, quindi, non stava in piedi. Adesso c’è un’azienda diversa, come ha dimostrato la capacità di reggere a 12 mesi molto duri in Europa. Il gruppo ha agito bene. E per Fiat Industrial vedo un futuro solido, capace di fare chiare scelte strategiche. Oggi è una grande giornata».
Però, che sofferenza: il tormentone spin-off andava avanti da anni.
«In verità se ne parla da otto mesi. E lo abbiamo fatto. Non è male...».
Siamo a Palazzo Mezzanotte. È diversa l’atmosfera che lei respira quando si trova a Wall Street?
«Il mercato italiano è efficiente, al pari di quello americano. Non vedo probemi».
Fiat al 51% di
«Ci sto pensando, ci penso sempre. Se Chrysler va in Borsa nel 2011 dovremo accelerare l’opzione, dipende dal timing della quotazione che dovrebbe verificarsi nella seconda metà dell’anno».
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