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Utero in affitto: per la Cassazione, anche se è gratis, rimane un reato

La sesta sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 2173, ha stabilito che la mancanza di un compenso economico alla donna che "presta" il suo utero non "cancella" il reato. Per ProVita onlus e Generazione Famiglia "è una sentenza storica"

Utero in affitto: per la Cassazione, anche se è gratis, rimane un reato

L'utero in affitto, anche se è gratis, rimane un reato in Italia. Lo ha stabilito la sesta sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n.2173.

I supremi giudici, che sono stati chiamati a giudicare su una sentenza emessa dalla Corte di Appello di Napoli, hanno respinto la richiesta di una donna che chiedeva di essere assolta dopo che i giudici napoletani l'avevano condannata perchè aveva concepito e partorito un figlio che, tramite un ginecologo, era stato donato, attraverso una falsa adozione, ad una coppia. Tutte le parti in causa erano state condannate in secondo grado ma la donna sosteneva di non avere commesso un reato perchè la maternità surrogata l'avrebbe portata a termine gratuitamente.

I giudici della Suprema Corte hanno ribadito che "l'articolo 71, comma 1, della legge 184/1983 punisce con la reclusione da uno a tre anni, chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere definivo un minore, ovvero lo avvia all'estero perché sia definitivamente affidato, senza ulteriori condizioni ai fini della integrazione del reato".

Inoltre, rigettando tutte le ipotesi avanzate dalla donna, compresa l'asserzione dell'aver "affittato il suo utero" gratuitamente, la sesta sezione penale ha ricordato che la fattispecie delittuosa punita dall'articolo 71 della legge sulla "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori", non richiede "per colui che affida il minore, la previsione di un compenso economico come corrispettivo della consegna del minore stesso".

La sentenza, quindi, conferma, che la ricordata legge 184/1983 in Italia vieta qualunque pratica di utero in affitto, ribadisce che la mancanza di un compenso economico alla donna che "presta" il suo utero non "cancella" il reato, e sottolinea che è prevista una pena aggravata nel caso che l’affidamento illecito di un figlio a terzi sia commesso da un genitore naturale.

La sentenza è stata accolta con freddezza dalla stampa nazionale italiana che non l'ha rilanciata e sembra averla occultata, mentre è stata recepita con grande soddisfazione da Provita onlus e da Generazione Famiglia. Le due associazioni nazionali pro-life, guidate rispettivamente da Toni Brandi e Jacopo Coghe, attraverso un comunicato stampa hanno fatto sapere che è "finita la grande menzogna" e che sono stati "smascherati gli avvelenatori del pozzo".

Per le due associazioni "finalmente si ristabilisce la verità: il corpo umano non è uno strumento di produzione per altri e questo anche se le madri naturali si prestano a titolo gratuito a concepire e partorire un figlio che non sarà loro".

Brandi e Coghe, ora che è stato ribadito il divieto in Italia di ogni pratica dell'utero in affitto, si augurano "che quanti politicamente avevano sostenuto questa possibilità come mezzo di libertà per le donne se ne facciano una ragione.

E visto che la condanna conferma anche che il nostro ordinamento prevede un aggravamento della pena nel caso in cui il reato sia commesso da un suo genitore, questa per l’Italia, per la vita e per i diritti, è una sentenza storica".

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