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Migranti, il flop dei rimpatri: in pochi lasciano davvero l'Italia

La relazione al Senato del Garante: solo una percentuale minoritaria di migranti viene rimpatriata una volta raggiunti i Cpr

Migranti, il flop dei rimpatri: in pochi lasciano davvero l'Italia

La questione dei rimpatri è tra le più calde in tema di immigrazione. Il governo Draghi ne ha fatto una bandiera quando, nel primo discorso in Senato del presidente del consiglio nel febbraio 2021, ha promesso di spingere per una politica comune europea volta a far aumentare il numero, sempre piuttosto esiguo, di rimpatriati.

Una scommessa non da poco, considerando che ogni singolo rimpatriato ha un costo e spesso il ritorno a casa è difficile da attuare a causa di normative inesistenti o impossibili di attuare con molti Paesi di origine dei migranti. E infatti l'esecutivo Draghi non sta facendo eccezione. Una grana in più per il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese, già alle prese con un continuo trend di aumenti degli sbarchi. Così come sottolineato da Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, oggi meno della metà dei migranti che passano dai Cpr, i Centri per il Rimpatrio, lasciano poi effettivamente il territorio italiano.

Il flop dei rimpatri

Presentando la sua relazione in Senato, Palma è stato piuttosto chiaro. “Non è cambiata la percentuale dei rimpatri relativamente alla permanenza nei Centri per il rimpatrio: attualmente nei 10 Cpr, con una complessiva capienza di 711 posti, si è mantenuta attorno al 49% delle persone che vi sono state ristrette, in media per 36 giorni”. “Una situazione – ha proseguito poi Palma – che apre la questione della legittimità di tale trattenimento quando sia già a priori chiaro che il rimpatrio verso quel determinato Paese non sarà possibile”. In poche parole, nella maggior parte dei casi, una volta entrato in uno dei Cpr italiani, il migrante sa che con molta probabilità non verrà rimpatriato. E la sue permanenza all'interno della struttura appare superflua.

Secondo le norme vigenti, un migrante entrato illegalmente può rimanere dentro i Cpr per un massimo di 120 giorni, poi dovrebbe intervenire un rimpatrio che, come detto, nella maggior parte dei casi non si verifica. “La media della permanenza nelle diverse strutture nell'anno trascorso è stata di 36 giorni – ha sottolineato sempre in parlamento Daniela de Robert, componente del Collegio del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale – Ma è un tempo vuoto”.

Perché i rimpatri non funzionano

Buona parte dei migranti rimpatriati dall'Italia è di nazionalità tunisina. Questo perché esistono già dal 1998 specifici accordi con Tunisi che prevedono il ritorno in patria di chi sbarca lungo le nostre coste. Le ultime intese tra i due Paesi prevedono anche almeno due voli charter a settimana per accompagnare i migranti tunisini fuori dall'Italia.

Ma con gli altri governi da cui si origina l'immigrazione ogni accordo è storicamente difficile. Sia per situazioni interne a specifici Stati, i quali hanno governi molto deboli oppure istituzioni non in grado di gestire sotto il profilo logistico il ritorno a casa dei migranti, e sia per difficoltà nei rapporti tra le parti.

Fonti del Viminale hanno spesso specificato che una svolta potrebbe arrivare da una politica comune dell'Ue sui rimpatri. La forza contrattuale di Bruxelles, è il senso di questa linea, è maggiore di quella dei singoli Stati. Anche per questo Draghi e Lamorgese hanno puntato molto su politiche comuni per i rimpatri.

Al momenti però senza successo.

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