Quello che si scopre dopo è sempre qualcosa che fa indignare. Infuriare. Dopo la strage, dopo le vittime, dopo l'attentato andato a segno, si viene a sapere che l'imam Abdelbaki Es Satty, il capo della cellula che ha colpito a Barcellona, la mente che ha architettato il piano criminale, è stato graziato dai giudici spagnoli da un'espulsione che era già esecutiva.
È questa la grande e principale falla del sistema europeo: le espulsioni che troppo spesso non funzionano, che trovano mille intoppi burocratici, strade contorte da cui spunta sempre una scappatoia. La stessa che ha trovato l'imam di Ripoll. Il 29 aprile del 2014, dopo aver scontato quattro anni di carcere per traffico di droga, viene liberato con un ordine di espulsione. Doveva rientrare in Marocco, il suo Paese d'origine, e addio Europa. Potevamo sbarazzarcene, e invece non si dà per vinto l'imam. Ha giocato le sue carte proprio servendosi della legge: due avvocati presentano ricorso per lui. La prima porta a cui bussano è la Delegacion del Gobierno, invocando la tutela dei diritti internazionali per il loro assistito. A settembre la richiesta viene respinta. Sembra finita e invece così non è. Gli avvocati si rivolgono alla giustizia amministrativa e qui, il giudice gli concede di rimanere legalmente nel Paese. Tombola. L'imam non solo ottiene lo status di residente legale in Spagna, ma si spinge oltre: il 29 novembre del 2014 fa richiesta d'asilo.
E la ottiene. Insomma, un rifugiato, sullo stesso piano di chi fugge dal proprio Paese d'origine perchè perseguitato da guerre o da torture.
Accolto e tutelato, con il diritto e la libertà di viaggiare, di muoversi nella liberale e progressista Europa. Quello stesso Paese che lo accoglie, lui vuole distruggere. E ce la fa ad agire indisturbato. In questi anni ha modo di radicalizzare, seminare odio e raccogliere tempesta, indottrinare, fare proseliti, contare seguaci. Piani criminali studiati e covati nell'agiatezza e nella sicurezza dei diritti garantiti dalle regole della fluida e cosmopolita Europa. Circola libero il predicatore, e tra gennaio e marzo del 2016 l'imam di Ripoll si trasferisce a Vilvoorde, una cittadina a Bruxelles; si concentra su un paesino lì accanto, Diegem. È lì infatti che sorge una piccola moschea. L'imam chiede di poterci lavorare, ma qualcosa alle autorità del Belgio non convince. Il suo profilo è sospetto, le sue credenziali religiose insufficienti e per di più non parla una parola di francese. E viene rifiutato.
«È stato qui da noi un anno fa, cercò di trovare lavoro come imam nella moschea», spiega il sindaco Pierre Le Grof. Eccole le strade della jihad: portano tutte al Belgio. Il Belgio che torna, sempre, come nel caso di Yusef Belhadj, l'attentatore di Madrid. Anche lui prima di colpire e uccidere era stato lì.
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