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Johnson verso il governo Hammond: me ne vado

Il ministro delle Finanze annuncia l'addio contro l'ipotesi di No Deal del futuro leader

Johnson verso il governo Hammond: me ne vado

Un nuovo primo ministro per il solito inestricabile groviglio. Boris Johnson al posto di Theresa May e la stessa matassa, chiamata Brexit, da dipanare. Domani il camaleonte Boris, 55 anni, intellettuale eccentrico, storico, giornalista, ex sindaco di Londra ed ex ministro degli Esteri, che i suoi fan considerano «un gigante» e i suoi detrattori invece «un clown», domani coronerà il suo sogno. A meno di colpi di scena del tutto inattesi, sarà scelto da 160mila iscritti al Partito conservatore per governare 66 milioni di inglesi (potenza e paradosso delle nostre democrazie). L'esito della sfida finale a due per la leadership dei Tory appare del tutto scontato, tanto che il rivale e attuale ministro degli Esteri Jeremy Hunt si è già messo a disposizione per lavorare nel nuovo esecutivo. Dopo la votazione e l'annuncio di domani, mercoledì il nuovo leader assumerà anche l'incarico di futuro premier. E da subito dovrà vedersela con la questione che ha già bruciato due capi di governo e 43 fra ministri e sottosegretari. Cento giorni da urlo. Perché che lo si chiami dossier decisivo, incubo, rogna, rebus, sarà questo e solo questo - il nodo dell'uscita del Regno Unito dall'Unione europea - il tema che segnerà il mandato di Johnson e i suoi primi cento giorni di governo. Cento giorni che - coincidenza - scadono nella data clou del 31 ottobre fissata per l'addio.

Il primo assaggio si è già avuto ieri, quando il cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond ha annunciato in diretta tv le sue dimissioni. Mercoledì lascerà l'incarico di ministro delle Finanze, in totale disaccordo con la prospettiva di un No Deal, un'uscita senza intesa con la Ue, una scelta «che non potrei mai sottoscrivere», ha detto. Ed è la prima prova che nel rimpasto di governo obbligato a cui si prepara Johnson, per gli europeisti come Hunt non ci sarà molto posto. E che altre pedine potrebbero cadere lungo il percorso, facendo traballare il partito stesso. Boris finora è stato chiaro: la scadenza del 31 ottobre è decisiva, ne va della tenuta delle istituzioni e dell'intero sistema politico se non verrà rispettata. Ma il bivio di fronte al quale si troverà il prossimo premier è un dilemma nel dilemma. Quei giorni serviranno per trovare un'intesa sul backstop, in modo che la garanzia che non ci sarà un confine duro tra Irlanda e Irlanda del Nord sia solo temporanea e non lasci il Regno Unito intrappolato nelle sue maglie a tempo indefinito?

Oppure i prossimi cento giorni, ridotti a 60 al netto della sospensione estiva, serviranno solamente a intonare il de profundis a qualsiasi eventuale intesa con la Ue? Angela Merkel ha già invitato il prossimo premier a mantenere l'accordo negoziato con Bruxelles, sottolineando che il backstop sarà superato quando si troverà un'intesa sui futuri accordi commerciali. Il Sunday Times svela invece che contatti segreti sono in corso tra diplomatici e politici di Irlanda, Germania, Francia, Belgio e Olanda da una parte e due esponenti del governo vicini a Johnson dall'altra. Obiettivo: scongiurare il No Deal.

Poi c'è l'altra soffiata: Bruxelles avrebbe offerto un nuovo rinvio a Boris, che servirebbe per rinegoziare l'accordo ma anche per non mandare all'aria il Partito conservatore lacerato dalle divisioni. Nuovo premier, vecchi guai.

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