Quanti dubbi sulla sociologia

Caro Granzotto, nella sua risposta sulla famiglia «ridotta ad una Coop» mi ha molto colpito l’invettiva contro la sociologia. A mio parere è uno dei tanti saperi di cui si può discutere al tavolino del bar come nei convegni accademici, esattamente quanto l’economia, la psicologia e persino lo sport. Con diversi risultati, certo. Le do atto di questo: è facile fare della «sociologia spicciola» screditando la rigorosità a cui è arrivata la sociologia seria. Questa scienza studia gli esseri umani quando agiscono «in società». A me pertanto non sembra corretto affermare che ogni responsabilità viene attribuita dai sociologi «alla società, alle periferie, al malessere giovanile, etc.». Mi sembra che il discorso sia da invertire: i sociologi studiano la parte di responsabilità che non è individuale. Ricordo solo che il costruttivismo (importante corrente sociologica del XX secolo) ha fondato l’analisi della «costruzione sociale della realtà» intorno ai concetti di socializzazione primaria e secondaria: la prima avente sede nella famiglia, la seconda nella scuola, nel gruppo di amici e così via. Ora, la socializzazione primaria di un individuo all’interno della famiglia significa banalmente che il figlio viene «socializzato», cioè istruito al mondo, dai genitori». Insomma, caro Granzotto, se oggi circolano sociologi che dicono cose eccessive, ciò non significa che la sociologia sia così scadente da sovvertire le più banali ovvietà. È una scienza seria, invece, e molto rigorosa nei suoi metodi di indagine.


Scusandomi, caro Melley, per aver sforbiciato qua e là la sua lettera, mi dico subito d’accordo quando definisce la sociologia un «sapere», meno quando la ribattezza una «scienza». I sociologi studiano, come lei giustamente afferma, «la parte di responsabilità che non è individuale». Per individuarla, però, non ricorrono a un metodo scientifico (e non riuscirei a immaginarmi quale), ma ad una serie di presupposti e di modelli astratti, ad un insieme di ipotesi volte a spiegare questo o quel fenomeno. In parole povere, alle teorie. Finendo poi per privilegiarle sul tutto e di conseguenza ad escludere o ridurre a pochissima cosa la responsabilità personale, individuale. Non vorrà negare che il grosso della sociologia ha lavorato e lavora alacremente per deresponsabilizzare l’individuo o meglio, per convincerlo di essere un’entità non responsabile delle proprie azioni. Un’entità che se commette il male, la colpa non è sua ma della società immancabilmente cattiva, corruttrice e traviatrice di anime candide. Come piaceva al più cattivo dei cattivi maestri apparso sulla faccia della terra: Jean-Jaques Rousseau.
Ci aggiunga (e devo riconoscerle che lo ha aggiunto) il dilagare della «sociologia spicciola» e il proliferare dei «sociologi spiccioli» che vanno ad ingrossare le file, già sovrabbondanti, degli «esperti». E l’«espertismo» è l’altra micidiale arma usata per de-personalizzare individui già de-responsabilizzati dalla predicazione sociologica. Ormai sono in pochi ad agire di testa propria: per ogni questione, dall’educazione dei figli alla scelta della villeggiatura, ci si rivolge, magari sulle pagine dei settimanali illustrati, all’ «esperto». In genere, guarda caso, un sociologo.

Mi rendo conto, caro Melley, di star facendo d’ogni erba un fascio mettendo nello stesso calderone sociologia «buona» e sociologia da strapazzo. Evidentemente sono stato contagiato anch’io: non è infatti il far d’ogni erba un fascio l’essenza della sociologia?

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