Questa tornata di elezioni amministrative potrebbe essere fatale per il governo Prodi. Il suo maggior problema è come spendere l'eccesso di liquidità che i contributi degli italiani, accusati da lui di essere evasori fiscali, gli hanno fornito; dandogli così l'illusione di poter governare ancora come nei giorni del secolo scorso, quando con lo Stato sociale sostenuto dal ritmo delle generazioni, era possibile, unendo spesa pubblica e consenso con l'uso istituzionale motivato nel clientelismo politico. Ma il voto genovese è qualcosa in più, è l'occasione offerta dalla città di dire se vuole continuare la sua decadenza coperta dalla invasione degli immigrati, oppure cercare di cambiare il suo destino.
La sinistra ha governato questa città prima usando il ruolo dell'industria di Stato in pieno vigore, il che le consentiva di mantenere una classe operaia degna della sua storia. Ma poi la ruota del mondo ha cominciato a girare e la sinistra ha sostituito il proletariato con il pensionariato, purchè continuasse ad esistere un elettorato e il ceto politico rimanesse immutato. La sinistra non si è così opposta alla deindustrializzazione della città e ha gestito la distruzione di Genova come economia industriale. Non è un caso che la deindustrializzazione di Genova si realizzi negli anni del governo Prodi, che fa pagare alla città un costo più alto per l'ingresso nell'euro. La perdita della parte internazionale dell'Elsag Bailey, che operava nelle quaranta nazioni più industrializzate del mondo, è di poco antecedente al trasferimento della Ip italiana da Genova a Roma e dell'Eridania da Genova a Ferrara, mentre il gruppo Ansaldo è frammentato e venduto per parti. Nel silenzio e nella passività della città avviene la liquidazione della città imprenditiva; alla chiusura delle industrie segue quella dei servizi. E cade la proprietà italiana e la presenza genovese della Costa Crociere. San Giorgio Finmare è stata liquidata, hanno chiuso Gina Lebole e Grafoplast. La direzione Ilva è stata trasferita a Milano, Morteo ha chiuso, la sede regionale Telecom è stata trasferita a Firenze. E' come se un progetto di deindustrializzazione si fosse abbattuto sulla città di cui era stata decretata la fine.
Questo spiega perché la città abbia perso 250.000 residenti e che il 70% delle giovani generazioni non speri di trovare lavoro a Genova. È come se nel silenzio fosse stata operata in città una grandiosa ablazione, una chirurgia plastica al contrario. Questo è stato possibile perché la città è dominata dal ceto politico della sinistra, che pervade tutti i modi, sia quelli formalmente laici che quelli formalmente cattolici. Genova rivela il significato reazionario dell'utopia. L'utopia, che ha generato la speranza comunista non significa far crescere la storia, ma bloccare la dinamica.
Nel modello di una perfetta statica sociale in cui ogni variazione è prevedibile. Genova è l'utopia reazionaria realizzata. Ne viene che la Coop Sette ed il comune divengono le maggiori industrie della città, ad esse si affiancano soltanto l'Università e le strutture dello Stato. Il privato è il godimento della ricchezza già prodotta che si consuma, il nuovo non esiste. Le coop emiliane controllano i sette grandi centri commerciali della regione Liguria. In questa città statica, l'immigrazione avviene come un'invasione, non come un inserimento. In Veneto si ha il paradosso che la terra più autonomista richiama più immigrati con offerte di lavoro. L'ingresso dell'immigrato grava sull'economia statica genovese con un peso sociale maggiore che in Veneto. Il governo Berlusconi e la giunta Biasotti hanno cercato di salvare il residuo industriale della città, hanno potenziato Marconi e messo in sicurezza Elsag ed Ansaldo Energia. Hanno aperto la via all'Istituto di tecnologia avanzata, deciso e assegnato i fondi per il terzo valico; e nella spinta del governo Berlusconi la giunta Biasotti ha voluto la nuova immagine del porto creata da Renzo Piano. Ha voluto cioè andare controcorrente, trovare un'alternativa a un declino che è tanto reale quanto quello dell'Italia è irreale.
La candidatura Vincenzi è una candidatura populista e paesana, rappresenta fisicamente un'identità della città che invecchia, non la speranza della città che cresce. Per questo i genovesi hanno un motivo in più per votare l'immagine giovane e creativa che Enrico Musso esprime quale candidato della Casa delle libertà.
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