A volte ritornano: son di nuovo gli zombi i cattivi contro i quali nei film tutto, ma proprio tutto è permesso. Dopo la prima fiammata, scaturita nel 1968 da La notte dei morti viventi di George Romero, uno che aveva letto Lovecraft, questo sottofilone dell'orrore s'era estinto. Comprensibilmente: sebbene ghiotti di carne viva, gli zombi non erano una minaccia credibile per una società nichilista e tecnocratica: che valore avevano per essa cadaveri ambulanti, carcasse decomposte, Lazzari senza un Gesù, capaci solo di emettere suoni inarticolati?
Negli ultimi anni gli sceneggiatori hanno dunque violato le regole del gioco per riesumarli (è il caso di dirlo). Avevano già fatto lo stesso con gli avi degli zombi, i vampiri, rendendoli prima immuni all'aglio, poi indifferenti al sole, tolleranti alle pallottole d'argento e ai paletti di legno nel cuore, solo disgustati dai crocefissi, infine addirittura de-vampirizzabili.
Per l'andatura originaria degli zombi, Romero si era ispirato agli eroinomani vaganti nelle strade degli Stati Uniti. Ma non aveva dato indicazioni precise sulla causa della zombaggine: verso la fine del suo film, una radio accennava a una sonda tornata da Marte. Ora la droga più diffusa è la cocaina. Ed ecco gli zombi diventare più veloci dei vivi. Hanno esordito con scatti brucianti ne L'alba dei morti viventi di Zack Snider; sullo slancio hanno proseguito con L'alba dei morti dementi di Edgar Wright.
Da ieri, 28 settimane dopo di Juan Carlo Fresnadillo, séguito di 28 giorni dopo di Danny Boyle, si è allineato: l'atletico Robert Carlyle deve mettercela tutta - lasciando indietro la moglie - per sottrarsi ai morsi. Sempre da ieri, Grindhouse - Planet Terror di Robert Rodriguez offre zombi dall'aria meno in salute, ma di due tipi: quello che soffre di zombaggine per contaminazione da guerra biologica e chimica, condotta in Afghanistan; e quello per contaminazione dal loro morso. I primi possono arginare il male, se inalano un certo gas, ma si decompongono rapidamente, se ne sono privi; i secondi no: mordono e basta, ma passano dalla vita alla zombaggine senza morire, proprio come i primi.
Sempre ieri è uscito negli Stati Uniti (il 12 ottobre uscirà in Italia) un altro film di zombi, Resident Evil: Extinction di Russell Mulcahy, dove Milla Jovovich - reduce dall'apocalisse di Resident Evil: Apocalypse di Alexander Witt - è diretta con un gruppo di superstiti dalla California in Alaska, attraversando a piedi un deserto, presentato per quello del Nevada, ma si vede il cartello «Attenti ai canguri»! Si noti: il film è di coproduzione anche australiana... Comunque, canguri o coyote che siano sullo sfondo, si è posta a Mulcahy la questione del passo degli zombi, perché una banda di morti viventi arrancanti nella sabbia dietro la piè veloce Milla non avrebbe emozionato nessuno.
I dettagli truculenti e podistici della zombaggine nuovamente dilagante celano una questione più seria: perché ritornano? Perché ogni film ha bisogno di un cattivo e, quando si individua un cattivo che attira (il cattivo non stucca come il buono), lo si sfrutta o lo si ri-sfrutta fino in fondo. Nel secolo e passa di storia del cinema occidentale di fede hollywoodiana, si sono succeduti nel ruolo del cattivo - oltre a belve varie d'ogni era, a cominciare dai tirannosauri e dai velociraptor - cannibali e pellerossa, messicani e indios, tedeschi e giapponesi, russi e cinesi, vietcong e arabi, criminali e poliziotti, maniaci sessuali e adultere possessive. Ma quasi tutte queste categorie avevano e hanno una parte di pubblico (un miliardo e mezzo nel caso dei cinesi) che s'identifica con loro, dunque si schiera dalla loro parte. Causa l'ancora buona tenuta delle fosse, dei loculi, oltre che dei colombari, gli zombi non hanno ancora chi s'identifichi con loro, dunque manca chi denunci le continue manifestazioni d'antizombismo.
Per ora il pubblico giovanile - quello senza un lavoro, se non interinale - può quindi divertirsi nel vedere esplodere i morti viventi, forse cogliendo in loro, in questi adulti bestialmente affamati, i garantiti di oggi, i vivi (un giorno) morenti.
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