Controcultura

Il '68? Distrusse la scuola (parola di professoressa)

Un diario autobiografico di una professoressa di liceo post '68

Il '68? Distrusse  la scuola (parola di professoressa)

Devo questo libro a uno di voi. Una lettrice. Che mi ha gentilmente chiesto di occuparmi di Vittoria Ronchey e di un suo libro: Figlioli miei, marxisti immaginari, pubblicato nel 1975. All'epoca ebbe un discreto successo. Ma leggerlo oggi è ancora più interessante. Si tratta di un diario autobiografico di una professoressa di liceo post '68. Da qualche parte la sua autrice scrisse che dopo essere stata cacciata da scuola, non accettata da studenti e colleghi, aveva due strade: andare dallo psicoanalista o scrivere un libro. Grazie al cielo, percorse la seconda.

Non è facile trovarlo. Chi scrive, per una manciata di euro, è riuscito a recuperalo su Ebay. Si parla, dunque, di una professoressa di filosofia che da Bergamo viene catapultata in una nuova scuola di periferia a Roma. E si immerge in quello che doveva essere il tipico clima della contestazione, in cui in nome di una rivoluzione, molto comunista anche se mai dichiarata tale, la cultura e l'istruzione venivano considerati feticci borghesi, strumenti di dominazione dei capitalisti... «Gli utopisti scrive la Ronchey e insieme la sua professoressa - più pericolosi del nostro tempo, ancor più degli urbanisti, i sociologi ideologizzati e i rivoluzionari anarcoidi, sono alcuni pedagogisti. Alla loro pedagogia (in modo brillante la Ronchey 45 anni fa dimostra di prevedere il futuro, ndr) dovremo una profonda infelicità futura, perché l'effetto ultimo della loro impresa è chiaramente l'affacciarsi di una generazione alienata e disadattata dall'indulgenza e dalla povertà di nozioni indispensabili al vivere». La nostra professoressa pensando ai suoi studenti, imbronciati e assenti dice: «Mi piacerebbe vedere la gente giovane, se non fiduciosa e ottimista, almeno senza tanti rancori verso di noi. Non dico debbano mostrare gratitudine (che pure qualche motivo a volerlo cercare ce l'avrebbero, magari nel vaccino antipolio che gli abbiamo somministrato), ma rancore perché?».

Ecco, sarebbe interessante capire se questa è la medesima posizione che possiamo avere oggi. Con la generazione che non sedeva sui banchi della Ronchey, la quale nel frattempo è diventata adulta e si è fatta classe dirigente. E con i giovani di oggi, che non l'accettano. Come sempre avviene con i giovani? Oppure oggi c'è un motivo in più di ieri? Quella generazione che era irriconoscente per l'antipolio e che oggi vuole estendere i vaccini a tutti, che invece proprio su questo si ribella.

Un'ultima considerazione. La Ronchey racconta con coraggio l'ignoranza, il pregiudizio e la follia collettiva di quegli anni. Ma resta pur sempre la critica del vicino di casa. La Ronchey, diciamo male, faceva parte di quell'Italia democratica e antifascista dalle cui fila arrivavano i professori che descrive. Ciò nulla toglie a una descrizione della scuola sessantottina impareggiabile. E che oggi, più che mai, conviene leggere.

Non ci sono più i borghesi che ci vogliono imporre la loro cultura, ma la «casta» che vuole conservare il proprio privilegio.

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