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«Abbiamo detto no agli Usa, ci siamo rifiutati»

Secondo i magistrati il capo del servizio Pollari era all’oscuro delle versioni dei fatti concordate dai suoi 007

Stefano Zurlo

da Milano

È l’1 giugno, ore 15.22. Il generale Gustavo Pignero ha appena finito l’interrogatorio con i Pm di Milano. Marco Mancini è ansioso di sapere com’è andata, va in una cabina e lo chiama sul cellulare del generale Luciano Seno. Il dialogo, secondo la magistratura milanese, è decisivo e porterà all’arresto dei due alti ufficiali. Ecco un brano:
Pignero: «Poi gli ho riferito genericamente... ma ho tenuto fuori il number one».
Mancini: «Ho capito».
Pignero: Capito?... ho detto che gli ho riferito genericamente del progetto e le verifiche degli accertamenti che andavamo facendo».
Mancini: «Ho capito».
Pignero: «Poi gli ho detto che gli accertamenti erano negativi e quindi noi chiudevamo lì la questione».
Insomma, Pignero, che è stato ascoltato come testimone, avrebbe dato ai Pm una versione addomesticata, parlando di generici accertamenti sulla figura di Abu Omar. A Mancini, però questo ragionamento non basta. E va alla carica.
Mancini: «Ma che io gli ho detto di no, tu gliel’hai detto questo, sì?».
Pignero: «Di che?».
Mancini: «Che io detto che non...»
Pignero: «Certo».
Pignero: «Che c’era la Pg e quindi non si faceva più niente».
Mancini: «Certo».
Pignero: «Però non si faceva più niente nel senso che non passavamo più nessuna notizia, perché noi mai nulla abbiamo saputo».
Mancini: «No certo, no però della richiesta che ci avevano fatto gli yankee, tu gliel’hai detto, sì?»
Pignero: «La richiesta era quella di fare delle verifiche capito?»
Mancini: «Eh va bè, io però ho detto ai miei, io ti avevo.. Io ai miei gli ho detto una cosa un po’ più precisa, gli ho detto eh».
Pignero: «Cioè?».
Mancini: Eh gli avevo detto che gli yankee volevano... volevano appunto prendere questo qua».
Pignero: «Sì va beh, ma volevano prenderlo nel senso di cattura».
Mancini: «Sì, esatto».
Pignero. «Di cattura a livello operativo, io ho parlato di un’attività di ricerca, cattura con su un obiettivo di carattere operativo».
Mancini: «Si va beh, io».
Pignero: «Non, non di un’attività diciamo... illecita... chiaro?».
Mancini: «E però io ai miei, cioè te l’avevo detto, io ai miei gli ho detto esattamente quello che tu mi avevi detto, cioè che era un’attività illegale, di fatto io poi dissi no a questa attività illegale».
Pignero: «Eh lo so, ma noi questo non lo possiamo dire».
Mancini: «Eh va bè, però se lo dicono quelli con i quali ho parlato, è un casino eh».
Pignero: Eh va bè, bisogna vedere chi sono».
Mancini: «Sono quattro o cinque».
Pinero: «Bisogna parlarci con questi e dire le cose come stanno».
Il dialogo prosegue.
Mancini insiste: «Si però, Gustavo te lo ripeto, io posso dire una cosa, se... i miei diranno esattamente le cose che io gli ho detto però, è questo il problema eh, che non riesco io a convincere tutti quanti a dire... perché la richiesta era... cioè io la dissi che era una cosa illegale, di fatto ci siamo rifiutati, cioè questo è il concetto basilare, io posso... se gli altri lo dicono è un ca... capito?».
Pignero: «Guarda che non è che devono dire chissà che cosa, devono dire soltanto che hanno fatto degli accertamenti sulla effettiva esistenza e pericolosità di questo soggetto, punto, avendo visto che era di interesse della polizia giudiziaria abbiamo deciso di sospendere e di non fare più niente questo è nella sostanza...»
Gli accertamenti
Mancini: «Io non posso, io non ne vengo fuori dicendo solo il fatto è solo degli accertamenti, perché se poi uno dei miei con il quale ho parlato dice sì, no lui ci ha chiesto esattamente di portarlo via, cioè noi gli abbiamo detto di no, eh dopo io... io passo per false dichiarazioni io... capito».
Pignero: «Scusami ma, abbi pazienza, ma nessuno ha detto di portarlo via però».
Mancini: «No, come.. cioè ti... ricordi tu mi avevi detto di prenderlo».
Pignero: «A parte il fatto, noi dobbiamo fare.. aver fatto degli accertamenti».
Mancini: «Sì».
Pignero: «Fare degli accertamenti sulla presenza di questo soggetto»
Mancini: «Sì, ma per prenderlo eh scusa io ho detto per prenderlo come tu mi avevi detto, scusa eh... comunque da lunedì vengo giù, faccio un salto a Roma».
Come leggere questo dialogo? Scrive il gip Enrico Manzi: «Da questa conversazione (che ha determinato l’assunzione della qualità di indagato del Pignero) emerge con chiarezza, secondo il Pm, non solo che il Sismi aveva ricevuto la richiesta della Cia di collaborare alla preparazione ed esecuzione del sequestro, ma anche che alcuni uomini del Sismi hanno avuto un ruolo diretto, sul “campo”, nello studio della vittima designata e dei luoghi ove il sequestro doveva avvenire. La telefonata, inoltre, dimostra con chiarezza il progetto di Mancini di convincere tutti i suoi collaboratori del tempo di fornire un’unica versione corretta della vicenda perché la richiesta degli americani era un’attività illegale. Mancini, in sostanza, teme di non poter convincere gli eventuali testimoni a dare la versione completa dei fatti: gli accertamenti da compiere sul campo erano chiaramente e consapevolmente finalizzati ad effettuare il sequestro».
Il sequestro
Fin qui il giudice che ha deciso l’arresto di Mancini e Pignero. Secondo le difese, questo dialogo dimostra invece che gli italiani rispedirono al mittente la rendition e non collaborarono, forse dopo un’iniziale esitazione, al progetto del sequestro. Altrimenti perché Mancini avrebbe detto «difatti ci siamo rifiutati», oppure «e noi gli abbiamo detto di no»?
Il gip va oltre e alza il livello della sua analisi: «L’accordo fra Pignero e Mancini per fornire una falsa rappresentazione dei fatti al Pm sembra sconosciuta al direttore del Sismi, generale Pollari, come si ricava dalla conversazione fra Pignero e Pollari, intercettata l’8 giugno sul cellulare del primo. La circostanza appare significativa circa la spaccatura fra Mancini, Pignero ed altri dirigenti del Sismi da un lato e il generale Pollari dall’altro».
Ecco il passaggio chiave.
Pollari: «Ma sei stato convocato qual è il problema?».
Pignero. «No, convocato no... praticamente ho chiesto di fare determinate precisazioni».
Pollari: «Potevi anche dire, bè insomma prima di fare queste cose... Comunque va bene così va bene lo stesso va bene così. Soltanto era meglio se ci sentivamo prima di dire certe cose non è che lo può fare uno liberamente... cioè descrivere le attività».
Pignero: «sì, ma non ho parlato di cose che non fossero già pubbliche».
«Il Pm - prosegue il gip - ha ipotizzato che la ragione per cui Pignero, Mancini, Seno e Curti, verosimilmente altri alti funzionari del Sismi non avessero messo il generale Pollari al corrente del progetto di Pignero (spinto e convinto da Mancini di rendere dichiarazioni al Pm) sia da rinvenirsi nel forte risentimento di loro (e principalmente di Mancini) nutrito nei confronti del direttore del Sismi per la mancata assunzione di responsabilità da parte di costui, in ordine alla ammissione di aver effettivamente ricevuto dalla Cia la richiesta di cooperare al sequestro di Abu Omar: tale atteggiamento, bollato dal Mancini come codardia, esponeva infatti il Mancini al ruolo di capro espiatorio».
La stampa
I magistrati documentano i rapporti di un alto funzionario del Sismi, Pio Pompa, con il vicedirettore di Libero Renato Farina. In particolare il 22 maggio scorso Farina comunica a Pompa di aver concordato con un suo collega di Libero un appuntamento con il Pm Armando Spataro, titolare dell’indagine su Abu Omar. Subito dopo Pompa chiama Pollari e gli dà la notizia: «Direttore, Betulla alle 17 s’incontra con il titolare di Milano». Betulla è il nome in codice di Farina. Dopo l’incontro Farina chiama Pompa, intercettato dai Pm, gli riferisce il contenuto del colloquio e gli invia un promemoria, redatto insieme al collega di Libero che ha partecipato al meeting con Spataro. Pompa avvisa a sua volta Pollari.
Quali conclusioni trarre?
«Il Pm - scrive il gip - ha ipotizzato che siano state effettuate delle intercettazioni illegali per seguire le mosse degli inquirenti e di altri personaggi sgraditi (quali i giornalisti invisi al Servizio) e che il Servizio stesso, o una qualche struttura legata allo stesso, si avvalgano di collaboratori, fra cui dei giornalisti, per monitorare e depistare le indagini e per acquisire atti della stessa ancora coperti da segreto».
Di più, al momento non è dato sapere: «Non è il caso di approfondire in questa sede la tematica sollevata dai Pm perché lo squarcio che ne deriva meriterà un idoneo approfondimento nelle sedi opportune». Insomma, c’è un’inchiesta stralcio sul tema.
In ogni caso dalle telefonate di Pompa emergono tre punti. Il primo: «Una sorta di controllo della strategia di indagine del Pm effettuata da Pio Pompa, in contatto continuo col direttore del Sismi, utilizzando il suo stretto rapporto con il giornalista Farina». Il secondo: «Il tentativo di fornire versioni contrastanti sull’episodio oggetto di indagine, attraverso contatti con giornalisti di testate di vario orientamento». Il terzo: «Il proposito di operare una serie di contromosse attraverso i contatti con i giornalisti, rispetto ai quali si vanta di aver fornito favori “extra iuris ordinem”».


Il capitolo stampa appartiene a una storia ancora in gran parte da scrivere.

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