Cultura e Spettacoli

Un accademico fallito e la fama usurpata

Il suo pensiero? Un idealismo fatto di storiche semplificazioni e all'origine delle peggiori ipocrisie cattocomuniste

Questa riscoperta delle pensate di Antonio Gramsci da parte della destra, sottolineata con un certo non minimo compiacimento dal nostro giornalismo di sinistra, è un sintomo per nulla promettente. Poco importa, infatti, quanto essa sia poi condivisa davvero da quanti ora ci governano. Più rivelatore è piuttosto scoprire con che entusiasmo il «culturame» lasciato disoccupato dalla sconfitta del povero Prodi la stia apprezzando. Giacché, enfatizzando questa destra che pare dirsi un po’ gramsciana, si ottiene per logica già un alibi migliore, persino intellettuale, per concorrere alle sue prebende.

D’altra parte, non è solo il soccorso al vincitore dei così numerosi (una volta) tifosi di Prodi e Bertinotti, a spiegare la notizia di una destra gramsciana. C’è pure il complesso d’inferiorità della destra, cronico almeno dal dopoguerra, a darne conto. Per esempio la destra postfascista volentieri si è sempre voluta proletaria. E cerca una sua autorevolezza ripescando magari Gramsci. Per non dire poi di quanti erano di sinistra e sono diventati negli anni Novanta di destra, ma altro non hanno letto davvero, se non liberalismi finti o marxismo. Per la qualcosa il sintomo si conferma ancora meno promettente.

Il povero Antonio Gramsci ha goduto infatti per troppi decenni di una fama usurpata. Ci fosse stata la rivoluzione protestante che costui auspicava in Italia, ancora per certo ci scanneremmo. Mai ci sarebbe stata una cultura grande e unitaria. E quanto poi di più interessante si trova scritto nei Quaderni o venne prima praticato e predicato dal Gramsci rivoluzionario si può trovare già detto meglio da Sorel. Un idealismo fatto di storiche semplificazioni e all’origine delle peggiori ipocrisie cattocomuniste: ecco il gramscismo. E forse sarà anche il caso di ricordare che un comunista vero come era l’ingegnere comunista Amadeo Bordiga, quello marxista coerente, giudicava fallimentare e ambiguo Gramsci.

E del resto tutto s’è ormai scompaginato, rispetto al mondo di una volta. Gli operai votano per la Lega e reclamano sicurezza, e protezione dagli immigrati. I cattolici sono, a destra come a sinistra, divisi; e, quando sono seri, in minoranza. I partiti e qualunque blocco sociale sono stati ormai vinti dall’omologazione dei mass media. Il disegno di un partito principe del mutamento è finito con gli anni Novanta. Insomma, la globalizzazione ha dissolto il mondo gramsciano, rimescolato tutti i postulati sociali e la natura stessa dell’Italia. Tant’è che sono tornati d’attualità alcuni temi premarxisti, quali il federalismo e il comunitarismo tipici di una Italia mazziniana e semmai municipalista. Ben altra da quella che il gramscismo prefigurava.

Quindi tornare al gramscismo da destra sarebbe totale sciocchezza, un cedere a quanto è stato fin troppo spremuto ed equivocato dalla sinistra. Tanto più che di grandi e preziosi pensatori non di sinistra, in questa fase, la destra ne avrebbe molti da leggere. Si pensi a Bruno Leoni, oppure all’esperimento, cristiano, federalista e comunitario di Adriano Olivetti, che i comunisti calunniavano, fedeli a quel tal Gramsci che meglio serviva allora a Togliatti. Sarebbe meglio pertanto che si cominciassero finalmente a leggere Olivetti o il liberista Leoni.

Ci sarebbero ben altrimenti preziosi.

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