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Il finto 25 aprile

La festa usata per imporre i loro totem: dalle «fogne» all’antisionismo I seminatori di odio vogliono un’Italia eternamente divisa in due Una giornata all’insegna del rancore

Il finto 25 aprile

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Dopo giorni di accuse alla destra di non dichiarasi antifascista sottolineando come il 25 aprile dovrebbe essere «la festa di tutti gli italiani», la giornata di ieri ha rappresentato al meglio il tentativo di una certa sinistra di farne una data di parte e divisiva. Tra posizioni antisioniste, referendum sul Jobs Act, attacchi alla Nato, rievocazione delle fogne, quello che è andato in scena ieri rappresenta il peggior campionario della sinistra italiana. I tentativi di ideologizzare la festa della liberazione con temi e argomenti che nulla c’entrano con il 25 aprile sono talmente numerosi e in un crescendo di posizioni fuori luogo e surreali che descriverli tutti sarebbe complicato ma proviamo a vedere i principali.
Come previsto, a finire nel mirino delle contestazioni dei gruppi filo palestinesi, è stata la Brigata ebraica che, da Roma a Milano, ha subito contestazioni e attacchi al grido dello slogan «antifascismo=antisemitismo». Nel corteo di Milano i centri sociali hanno scandito «fuori i sionisti dal corteo» urlando «assassini», «intifada» e «siete come Hitler» con anche qualche spintone tra le forze dell'ordine e i manifestanti quando è passata una bandiera d'Israele. I gruppi pro Palestina hanno poi tentato a più riprese di sfondare le transenne trattenuti dalla polizia in assetto anti sommossa.
Sulla stessa falsariga di confusione ideologica in politica estera occorre segnalare gli attacchi e le contestazioni alla Nato: «Dal Donbass alla Palestina, Usa criminale, Nato Assassina» è stato uno degli slogan pronunciati al passaggio della Brigata ebraica e dei manifestanti a sostegno dell'Ucraina. Il professor Riccardo Puglisi ha invece condiviso su Twitter un post di Federica Valcauda, neo candidata con Azione alle europee, che nel 2022 scriveva: «Finalmente è il 25 aprile e posso dire: chi oggi porta in piazza la bandiera Nato si auto segnali, si può curare, ve lo assicuro, basta leggersi dei libri di storia e disdegnare le boutade folkloristike senza alcun senso politico».
Troppo ghiotta anche per la Cgil l’occasione del 25 aprile per lasciarsela scappare così Maurizio Landini ne ha approfittato per lanciare l’ennesimo referendum contro il Jobs Act.
All’appello non potevano mancare i due nuovi paladini della sinistra: Antonio Scurati e Ilaria Salis. Scurati ha letto il proprio (ormai celebre) monologo in piazza Duomo a Milano: «il gruppo dirigente post-fascista, vinse le elezioni nell'ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via».
A Roma invece Roberto Salis, padre di Ilaria, dal palco dell'Anpi in piazza di Porta San Paolo ha fatto un paragone tra il nazismo e la detenzione di sua figlia: «se si guarda il pozzo dall'alto si vede il sole e la luna, se si vuole vedere la verità bisogna arrivare in fondo al pozzo. Ilaria aveva già ben chiara qual è la verità, molto meglio di me e di molte persone e sicuramente molto meglio dei nazisti che la stanno carcerando in questo modo. Adesso nel pozzo c'è stata abbastanza e bisogna tirarla fuori».
Non ha ben chiaro il concetto di pacificazione nazionale Tomaso Montanari, critico d’arte e rettore dell’Università per stranieri di Siena, che ha pubblicato sul suo profilo twitter un articolo del Secolo d’Italia intitolato «I vecchi resistenti guardavano al futuro, i nuovi antifà fanno prediche e business. Ecco chi sono» con la foto di Christian Raimo, di Antonio Scurati e dello stesso Montanari condividendo queste parole: «Ma almeno oggi tornate nelle fogne e tacete...». Intanto al corteo di Bologna sono state date alle fiamme le foto dei manifesti elettorali con il volto di Giorgia Meloni a testimonianza di come i valori di libertà e tolleranza non siano di casa in certi ambienti.


Finché ci sarà chi continua a monopolizzare il 25 aprile per il proprio tornaconto ideologico è inevitabile che si creino fratture e si attualizzi un clima di scontro di cui non si sente davvero più il bisogno.

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