Controcultura

Agli artisti piacciono soltanto i «poveracci» Il triste paternalismo degli intellettuali italiani

Tutto è cambiato, ma siamo ancora inchiodati all'anticapitalismo d'ordinanza

Agli artisti piacciono soltanto i «poveracci» Il triste paternalismo degli intellettuali italiani

A pensarci ti viene il magone. Insomma, la cultura italiana sembra un reportage di Michele Santoro, stretta per decenni tra il poverismo democristiano e quello comunista. Con il risultato che la ricchezza, il benessere, l'imprenditoria, la Brianza, sono rigorosamente bistrattate, dipinte come male assoluto. E dunque, oggi, i Virzì con Il capitale umano, un libro di Lagioia di qua e un Saviano accusatore del Nord di là; poca roba, per carità, ma allevati nel brodino dell'anticapitalismo d'ordinanza. E appena li tocchi urlano ancora: fascista! fascista! Come se poi il fascismo c'entrasse qualcosa con la libera imprenditoria.

Gli imprenditori? Tutti palazzinari. Mai avuto una cultura alta, della ricchezza, noi, figuriamoci. Se Proust fosse nato in Italia anziché dei Guermantes avrebbe scritto al massimo di Acitrezza, Alla ricerca del pesce perduto, perché la tristezza, ammettiamolo, inizia con il Verismo. Verismo della povera gente, ci mancherebbe. Anche oggi, a rileggere I Malavoglia, così stilisticamente raffinati, mi viene però una depressione, una claustrofobia, una puzza di pesce, una voglia austro-ungarica da schierarmi per dispetto contro il giovane Törless di Musil. O comunque, almeno, di rivalutare D'Annunzio.

Così come il cinema, il nostro cinema, inizia con Vittorio De Sica e Ladri di biciclette, neppure ladri di Ferrari, che sfigati. E dopo tredici anni di neorealismo, ecco un balzo in avanti, arriva Pier Paolo Pasolini, con Accattone, un titolo un programma. Eppure c'è poco da ridere, sono i nostri modelli culturali, esportati in tutto il mondo. Nessuno si stupisce, all'estero, se l'Italia va male, abbiamo sempre avuto un gusto estetico per fare pena. Nella moda facciamo meraviglie, ma poi arriva Saviano per raccontarti che gli imprenditori del Nord sfruttano i cinesi negli scantinati del Sud. Poi, appena c'è un fuoriclasse, non so, un Guido Morselli, lo si mette all'angolo, gli si rifiutano i libri, lo si fa morire inedito.

Va da sé, mentre Morselli si suicida sparandosi, un poverista come Pasolini diventa un santino, ma non subito, appena lo ammazzano. Con una morte scenografica molto Cristo dei poveri, insanguinato, impolverato, lui che sapeva, lui che denunciava lo Stato e gli imprenditori, lui che ha pagato per tutti, complotto, complotto! Fascisti! Fascisti! Mentre quand'era vivo i compagni gli davano del pedofilo e lo espellevano dal Pci. Del pasolinismo resta una scuola con due o tre mantra: l'editoriale dell'Io so, l'altro editoriale delle lucciole che sono sparite, mentre i romanzi con i ragazzi di vita e gli operai che se lo succhiano al Pratone della Casilina nessuno se li rilegge più, una noia, una noia, che neppure La noia di Moravia. Moravia, altro comunista, però come tutti ben inserito nei salotti giusti. Come oggi la Maraini, ex moglie e firma del Corriere della Sera, però, attenzione, appena comprato da Urbano Cairo, imprenditore del Nord, un piccolo Berlusconi. Cosa non bella. Cosa da guardare con sospetto.

Mi ricordo una conversazione tra Flavio Briatore e il magistrato Luigi De Magistris. Il primo vorrebbe mettere dei campi da golf intorno a Pompei (figata), e alberghi extra-lusso, per valorizzare il luogo, per incrementare il turismo di un certo livello; il secondo rimprovera a Briatore di non aver mai lavorato un giorno in vita sua. Perché essere ricchi significa essere ladri, furbi, disonesti, o giù di lì. Intellettualmente parlando, Flavio ci ha fatto la figura del gigante, De Magistris quella dell'intellettuale italiano medio, fosse stato più calvo sarebbe parso quasi Saviano. D'altra parte il vero tabù è un altro, un pensiero che non si può dire. Tipo che il Nord ha creato l'imprenditoria e il Sud ha creato la mafia.

Invece, ogni anno, tanti moralismi straccioni, petulanti, paradossali, come quello del filosofo Georgescu-Roegen sulla «decrescita felice», idea geniale, diventare tutti più poveri, solita solfa, subito fatta propria dal Movimento Cinque Stelle, di stronzate non se ne perdono una. Aggiungiamoci la Chiesa, il poverismo di papa Francesco (in realtà molto cristiano, ma che mette in imbarazzo i cristiani di destra: vorremo mica aprire la porta a tutti gli immigrati?), il denaro sterco del demonio, e la minestra è servita, e come da motto italico o la mangi o salti dalla finestra.

Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta, dell'Elmo di Scipio s'è cinta la testa... anche questa, che marcetta demenziale, giusto a Benigni poteva piacere. Alla fine l'unico vero fratello d'Italia è Alberto Arbasino. Che in Fratelli d'Italia, vero capolavoro della letteratura italiana, dichiara, snobbissimo, fin da pagina uno: «tanto mio papà ha più di un milione di franchi al Credit Suisse».

Grandissimo Arbasino, presto attaccato dal solito Pasolini con l'epiteto di «fascista! fascista!».

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