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Il colosso 90 anni dopo e il destino nel nome

Il 29 giugno del 1933 Primo Carnera mandò al tappetom l'America e diventò il "Primo" campione del mondo italiano. L'incontro durò meno di 6 riprese. La borsa del friulano era di 59mila dollari, gliene rimasero solo 360

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Non è stato un Colosso d`argilla, come voleva Budd Schulberg. E nemmeno dai piedi di argilla. Dopo quasi 100 anni parliamo ancora di lui, dopo 90 anni siamo qui a ricordare quella cintura di campione del mondo conquistata nella terra degli emigrati, davanti ad un campione paralizzato da un uppercut destro e ad un mondo che smise di chiamarlo "The Gorgonzola tower", "The Ambling Alp"(l`Alpe che cammina), "Old Satchel Feet" (vecchi piedi a cartella). Oppure "Leviatano veneto", come lo marchiò la famosa rivista "The ring" nel 1930: dimenticando che invece era friulano. Oggi come allora dici Carnera e basta la parola: icona di un gigante, simbolo di un fenomeno da baraccone diventato campione di una categoria regina della boxe. Il primo campione del mondo del nostro ring, dopo che Oddone Piazza (medi) e Domenico Bernasconi (gallo) avevano fallito l`assalto. Insomma non si nasce Primo, di nome, per caso.

Lo sport, che sa costruire meravigliose storie di vita, lo ha insegnato in quel 29 giugno 1933 in cui il mondo scoprì non tanto un pugile, perché sulla realtà pugilistica di Carnera si è navigato tra mistero e realtà, tra vero e non vero, quanto il personaggio da film e da fumetti: inverosimile forzuto dalle misure smisurate, il Gulliver che si districava nel mondo della mafia pugilistica. Dici Ercole ma pensi Carnera: cioè un personaggio reale, non da film. Non "uno scherzo della natura" come aveva scritto il New York American. E che nell`uppercut ci mise la forza di 43 milioni di italiani, suggerirono i giornalisti Usa. Scrisse una sintesi, diventata profetica, Adoldo Cotronei sul Corriere della sera: «La risonanza di questa avventura supererà il fatto sportivo». Così è stato. Il 29 giugno (1967) fu anche il giorno del suo saluto a questa terra: la storia non ha tralasciato i particolari. Certo è che Carnera mostrò di essere pugile con qualità ben più valide di quanto venisse accreditato.

Arrivò al mondiale dopo aver sofferto per la tragedia di Ernie Schaff, marinaio di origine tedesca, che gli morì davanti: sul ring. Non furono i suoi pugni ad ammazzarlo, piuttosto quelli di un match precedente. Difficile dimenticare, la madre di Schaaf lo perdonò. E si arrivò al 29 giugno. Carnera era diventato una buona macchina da dollari per la mafia pugilistica, in giro non c`erano boxeurs di grande appeal: i bookmakers davano l`italiano 10-11 rispetto al campione Jack Sharkey, marinaio di Boston che due anni prima lo aveva bastonato. Ed allora al Garden Bowl di Long Island (arena estiva del Madison Square Garden), Primo fece la sua storia con colpi veri: 26 anni contro i 31 del campione, incoronato nel 1932 battendo Max Schmeling. Il nostro, sbarcato tre anni prima negli Usa, pesava 118 kg, 28 in più di Sharkey, ed era alto 14 centimetri in più. Nelle gigantesche scarpe poteva riposare perfino un violino. Vennero contati 40mila spettatori (in Italia scrissero 60mila), emigrati, celebrità, Fiorello La Guardia sindaco di New York, incasso di 184 mila dollari. La borsa di Carnera era di 59mila dollari, ma in tasca gli rimasero 360 dollari: solo il manager si mangiava il 33%.

Primo si presentò sul ring in accappatoio verde, rispondendo agli applausi con saluto romano. Il mondo mussoliniano attendeva l`impresa del personaggio che interpretava il mito dell`uomo forte. Jack Sharkey mostrò invece la sua cintura, americano nato da genitori lituani, in realtà si chiamava Paul Zukauskas. Jack venne da Jack Dempsey, il suo idolo del ring. Sharkey aveva conosciuto mestieri e miserie, un tipo rude ma il soprannome "Sobbing sailor" (marinaio piangente) contrastava con l`immagine. Fuori del ring veniva preso da iperemotività e non tratteneva le lacrime.

Il mondiale durò meno di 18 minuti, 6 round: Carnera tirò fuori quel destro che spense le luci. Qualcuno lo contestò: «Era un pugno vero?». Altri si domandarono cosa avesse nei guantoni. L`ex campione ci scherzò: «Mi sono dimenticato di evitare il colpo». Ma da allora Primo entrò nella storia senza uscirne più. Il prodigio si era avverato: per andare oltre il mito. Il campione chiuse la notte in un ristorante italiano intonando una romanza di Puccini, suonando la fisarmonica per accompagnare "O sole mio". La Gazzetta dello Sport tirò copie fino alle 10 del mattino. Il Duce, il segretario Starace e il regime delle camicie nere vennero pubblicamente ringraziati dal nuovo eroe. E a lui si abbracciarono, salvo abbandonarlo appena perso il titolo. Carnera divenne un`attrazione per recital ed esibizioni. Tornò in Italia in modo rocambolesco: inseguendo con una barca a vapore il "Conte di Savoia", la nave salpata senza attendere il ritardatario.


Ne parliamo ancora, ne parleremo sempre: le leggende non muoiono mai.

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