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Italrugby, ricetta Quesada per il profumo della vittoria

Il nuovo ct dell'Italia è figlio di un rinomato produttore di fragranze. Sabato debutto nel 6 Nazioni a Roma con l'Inghilterra. "Prima diventiamo squadra, poi pensiamo al gioco"

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È il primo argentino a sedere sulla panchina della nazionale italiana. Famiglia benestante di San Isidro con il papà che è un rinomato produttore di profumi e per un`Italia che cerca quello della vittoria è già un buon inizio. Gonzalo Quesada non ha fatto proclami perché nel rugby di oggi è meglio non rischiare brutte figure pur strappare un titolo sui giornali. L`Italia ritrova il campo nel Sei Nazioni dopo le due figuracce nelle ultime due sfide del mondiale: 96 punti contro la Nuova Zelanda e 60 contro la Francia. Il fattore Q parte dunque con queste premesse e la risposta è «ricominciare dalle basi».

«L`Italia non può giocare contro le prime 10 squadre al mondo senza una squadra che sia competitiva nelle basi del gioco. Conquista, difesa, disciplina e adattamento alle situazioni sono i cardini - spiega Quesada -. L`attacco? È una cosa che funziona e va mantenuta e migliorata. Soprattutto perché l`Italia sa giocare con il pallone tra le mani, magari possiamo lavorare per resistere sul contatto e per restare in piedi senza regalare possessi agli avversari».

Quesada ha una mentalità vincente ma è anche un uomo di principi e valori. È stato compagno di scuola di Agustin Pichot, capitano di quei Pumas che si misero al collo la medaglia di bronzo del mondiale 2007. Il suo club è l`Hindu, scelto perché suo padre aveva vestito quella maglia che lui nel 1996 portò al primo titolo. Che sia abituato a sorprendere non c`è dubbio. Ha stupito in campo quando è stato miglior marcatore del mondiale del 1999 e venti anni dopo quando ha portato i Jaguares nella finale del Super Rugby. Se la federazione italiana lo ha messo nel mirino è stato soprattutto per questo ed ora è chiamato a pedalare. «Il filo rosso che lega i Jaguares all`azzurro c`è. - spiega - Anche qui ci sono giocatori che hanno voglia di affermarsi ma che fino ad ora non ci sono riusciti. Abbiamo però una idea di rugby molto simile». Dal mondiale gli azzurri sono usciti con le ossa piuttosto malconce. Devono ricostruire un`idea di gioco in un mondo del rugby dominato da squadre in grado di vincere senza avere un controllo assoluto del possesso palla. E allora la parola efficacia torna di moda. La strada? «Dobbiamo migliorare la nostra conquista e poi la difesa per mettere pressione ripartendo in attacco senza essere prevedibili. Non è solo uno schema di gioco è più di tutto una identità di squadra».

Quesada sa bene che non è una strada semplice. Magari lo aiuterà la sua seconda passione, il polo, di cui è appassionato praticante. «Ho un metodo di lavoro tutto personale che incarna i miei valori e la mia visione. - confessa -. Ma all`interno di questo metodo c`è spazio per tutti. Ognuno ha la libertà di prendere l`iniziativa. E questo porta il gruppo a responsabilizzarsi, tutti, staff e giocatori. Prima nasce la squadra poi arriva il gioco. È chiaro a me tocca mostrare una direzione, ma dobbiamo decidere insieme chi siamo, chi vogliamo essere, quali sono i nostri obiettivi».

Il quadro è appena abbozzato. Quesada ha scelto l`Italia dopo la corte di Lione e Montpellier. «Volevo un palcoscenico internazionale - racconta - E l`Italia somiglia tanto al work in progress che ho sperimentato con i Jaguares». Per ora però resta nel segno della continuità confermando Michele Lamaro capitano. La sfida vera sarà però nel rapporto tra la Nazionale, le franchigie e i club. Partirà dalla base della piramide che sarà necessariamente da allargare e per farlo ci vorrà tempo con Zebre e Benetton che avranno il peso di avvicinare "los italianos" alla qualità del rugby di alto livello. Il Sei Nazioni (domani l`esordio con l`Inghilterra) inaugura un nuovo ciclo che porterà ai mondiali in Australia. Per il cittì è un vantaggio se non fosse che anche lui la squadra l`ha vista poco. Dovrà fare i conti anche con i club del campionato d`élite perché anche lì si può pescare qualche talento. E poi l`estero, dove la formazione per l`alto livello, continua a garantire certezze. «Con i Jaguares, avevamo un gruppo di giocatori che si è messo a disposizione degli allenatori. Ci hanno chiesto cosa dovevano fare e che percorso li attendeva. Noi gli abbiamo mostrato il progetto che non parlava solo del rugby che avrebbero dovuto giocare. Gli abbiamo anche disegnato il modello della squadra che avrebbero dovuto essere per vincere con giocatori argentini contro le grandi dell`emisfero sud.

Ci siamo riusciti».

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