Controcultura

Amore, odio e repressione La drammatica storia dell'ultima principessa Shan

Inge Eberhard s'innamorò di un studente birmano e lo seguì nel suo Paese scoprendo che era un principe. Ma il golpe del '62 cambiò la sua vita

Tino Mantarroda Hsipaw (Myanmar)Quando venne la brutta stagione Sai Sarm Hpong si chiuse in casa. La brutta stagione durò anni. Il marito, Sao Oo Kya, era stato arrestato nel 2005 per aver avuto rapporti non autorizzati con i turisti. Nipote dell'ultimo principe di Hsipaw, Sao kya Seng, e unico discendente diretto della casata o quanto meno il solo ad avere il coraggio di dirlo esplicitamente venne condannato a 13 anni di carcere. Da tempo lui e la moglie facevano visitare ai pochi viaggiatori che arrivavano fin qui, nella tranquilla Hsipaw, quello che, con un po' di esagerazione, è conosciuto come il palazzo dei principi Shan. Mr. Donald - come veniva chiamato per semplicità dagli occidentali che spesso si perdono con i compositi nomi birmani - venne rilasciato dopo quattro anni grazie a un'amnistia, ma con il divieto esplicito di intrattenere rapporti con gli stranieri, pena nuovo arresto. Così, mentre il marito si è trasferito a Taunggy per curare gli affari di famiglia, Sai Sarm Hpong, che dai turisti si fa chiamare Mrs. Ferm, è rimasta per anni da sola a badare alla casa: una costruzione in pietra bassa a due piani, invero più simile alla villa di campagna di un ricco borghese dello Yorkshire che a un palazzo di principi orientali. Quando ancora l'apertura di questi ultimi anni era un sogno e la liberazione di Aung San Suu Kyi un'ipotesi neanche presa in considerazione, la signora Ferm dialogava con i pochi che andavano a trovarla da dietro un cancello secondario sbarrato con un catenaccio. In piedi tra l'erba alta, all'ombra degli alberi di tamarindo, misurava le parole, raccontando della carcerazione del marito, spiegando che avrebbe voluto accogliere i visitatori come era solita fare per raccontare la storia dei regni Shan e della Mahadevi austriaca, ma da qualche anno le era impedito. Anzi, proseguire quella conversazione sarebbe stato poco sano per lei e anche per noi, che certo i militari non si facevano problemi a crear guai ai turisti impiccioni. Quella volta, sei anni fa, venne chiamata da due ragazzini che avevano trovato il modo di guadagnarsi la giornata accompagnando i turisti a fare un giro per le campagne di riso intorno alla cittadina e a vedere quel che rimane, poco, di uno dei 34 regni Shan. I ragazzi conoscevano come arrivare alla cancellata posteriore passando per i campi, evitando di sfilare davanti alla piccola guarnigione di soldati del Tatmadaw, il potente esercito birmano, e richiamando l'attenzione delle fanciulle che lavoravano a casa della signora Ferm. Con la signora si comportavano con deferenza, giungendo le mani davanti alla bocca in segno di rispetto e accennando un piccolo inchino. Oggi il palazzo Shan di Hsipaw accoglie i visitatori liberamente e, per quanto informali, ha anche degli orari di apertura: al pomeriggio, tra le tre e le cinque. È segnalato con commenti lusinghieri addirittura da Tripadvisor, segno dei tempi e testimonianza della piccola fortuna turistica che ha arriso a questa cittadina collinare un tempo capitale di uno dei regni Shan. Quella degli Shan è la più numerosa delle 135 minoranze birmane, circa 6 milioni di persone, quasi il 10% della popolazione del Paese. Occupa un altipiano collinare grande quanto l'Inghilterra che si trova nella parte Nord orientale del Myanmar, al confine con la Cina e la Thailandia, in quella parte nota anche come Triangolo d'oro. Dei Thai, ma anche dei Dai che vivono nella provincia cinese dello Yunnan e dei Lao del Laos, gli Shan sono stretti parenti, praticamente cugini. Condividono l'origine etnica, la lingua (anche se parlano dialetti diversi) e la religione, il Buddhismo Theravada. Il paesaggio è frastagliato, le montagne sono coperte di foreste, le vallate spesso sono profonde, le strade e i collegamenti scarsi e difficoltosi, per cui nelle diverse comunità è prevalso un certo isolamento che ha marcato fortemente le identità. Accanto agli Shan, più nella zona di confine con la Cina e la Thailandia, vive un'altra mezza dozzina di etnie tra cui Wa, Palaung, Lisu, che occupa le parti superiori della montagna. Nei secoli gli Shan non hanno mai avuto uno stato centrale forte, sono sempre stati in una situazione di mezzo: in parte vassalli dei regnanti birmani, alle volte tributari di Pechino, altre completamente autonomi. Prima dell'arrivo degli inglesi, a fine Ottocento, erano polverizzati in tanti piccoli, litigiosi principati che ricordano l'Italia dell'epoca dei Comuni. I principi chiamavano se stessi Shaopa, Signore dei cieli. I regnanti birmani presero a chiamare i più importanti tra loro Signori del tramonto, quasi a presagio di quel che stava per succedere. Gli inglesi, con la loro tendenza a razionalizzare, etichettare e organizzare, misero ordine a questa polverizzazione accorpando i regni fino a riconoscerne 34 sparpagliati tra le Shan Hills. Il regno di Hsipaw era tra questi. Oggi, quando la signora Sai Sarm Hpong accoglie nella sua casa/palazzo ti fa accomodare nel salotto con il pavimento in teak. Seduti su sedie di vimini, o su panche di legno, circondati da fotografie ingiallite dal tempo e arricciate dai monsoni, racconta in un ottimo inglese la storia della sua famiglia adottiva. Storia che sembra uscita da una favola, di quelle non a lieto fine. Non distante dall'antica capitale birmana, Mandalay, a cui è collegato da una lenta ferrovia che arriva fino a Lashio lungo la direttrice che porta in Cina, il regno di Hsipaw è stato durante il Novecento uno dei più prosperi della zona. Dopo la Guerra il principe Sao Kya Seng poté andare a studiare negli Stati Uniti, a Denver, Colorado. Qui si innamorò di una studentessa austriaca, Inge Eberhard, che sposò nel 1953 e portò con sé in Birmania. Come è giusto che sia nella favole che coinvolgono le teste coronate di qualsiasi latitudine, la giovane austriaca era totalmente all'oscuro del rango del marito. Iniziò a capire che cosa stava accadendo solo quando all'arrivo al porto di Yangoon il vascello su cui viaggiavano fu accolto da una folla festante, obbligando il principe a spiegare la ragione per cui tutta quella gente era venuta ad accoglierli. Sposandolo era divenuta la Mahadevi di Hsipaw, la principessa celeste. Dalla villa di Hsipaw che il padre del principe aveva fatto costruire su modello delle residenze coloniali inglesi il vero palazzo era stato bombardato dai giapponesi - la coppia regnò brevemente, portando cambiamenti radicali nel regno semi-feudale. Tra questi l'assegnazione ai contadini di campi di riso della famiglia regnante, l'introduzione di nuove sementi e l'arrivo dei trattori meccanici per sostituire i bufali. Una rivoluzione che fece ben volere il principe Sao Kya Seng, nel frattempo diventato deputato al Parlamento dell'allora capitale Yangoon. Ma l'idillio durò poco. Nel 1962 il colpo di Stato del generale Ne Win pose fine al sistema relativamente autonomista della Birmania indipendente e, con la scusa di preservare l'unità nazionale, installò la dittatura. Il principe venne arrestato a un posto di blocco il giorno stesso del colpo di Stato, il 2 marzo. Di lui non si seppe più nulla, probabilmente non arrivò mai in carcere, venne fucilato prima. Inge e le due figlie rimasero a Hsipaw fino al 1964, quando emigrarono in America. La signora Ferm racconta questa storia con calma e onestà. Consapevole che la verità in Birmania è una parola che non va detta, non fa accenni alla situazione politica della regione. Per cui non racconta delle milizie autonomiste che da decenni combattono una guerra a bassa intensità con l'esercito centrale, né spiega che queste lussureggianti colline per decenni erano il centro della coltivazione dell'oppio. Si limita a tenere in bellavista il tricolore rosso, giallo e verde con un cerchio bianco al centro che costituisce la bandiera dello Shan. E poi invita tutti a leggere Twilight over Burma, l'autobiografia di Inge Sargent. Spiega che si può comprare in paese da Mister Book, un venditore di libri che ha decine di volumi perfettamente riprodotti in fotocopia. I birmani del resto sono un popolo di voraci lettori, la disponibilità di testi nuovi non è così ampia e i prezzi sono comunque alti. Per cui nei negozi che vendono libri e nelle bancarelle per strada si trovano dozzine di volumi fotocopiati e rilegati, sempre gli stessi titoli. Oppure vecchi libri dalla copertina rigida, trattati tecnici, testi di agraria, romanzi Penguin dimenticati in una stanza di albergo, tutti odorano di muffa, molti risalgono ancora al periodo coloniale britannico. Al momento di congedarsi da Sai Sarm Hpong qualcuno dei turisti lascia qualche soldo, servirà per ristrutturare il palazzo, dice. Spesso chiede se qualcuno ha dei libri da regalarle, nonostante l'apertura di questi anni di volumi in inglese non è che ne arrivino poi tanti a Hsipaw. Fa scorta, per come è andata la politica birmana in questi decenni non c'è da fidarsi.

Non sia mai che torni la brutta stagione e sia di nuovo costretta a chiudersi in casa.

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