Cultura e Spettacoli

Arte, tornano a Roma i marmi simbolo del potere di Napoleone

Il Louvre ha restituito, ma solo per quattro mesi, 65 delle statue classiche che l'imperatore acquistò, ma senza pagarle, dal principe Camillo Borghese. Al momento della vendita Canova parlò di «incancellabile vergogna»

Non una mostra, ma una «restituzione», il ritorno a Roma dopo 203 anni dei marmi antichi della Collezione Borghese, acquistati da Napoleone nell'intento di legittimare agli occhi del mondo l'appena acquisito potere imperiale. Esposizione memorabile, «I Borghese e l'Antico» allestisce per la prima volta (ricollocate dove erano in origine) ben 65 delle oltre 600 sculture di epoca romana, da due secoli nucleo centrale delle raccolte archeologiche del Louvre.
Presentata oggi alla stampa, la mostra è il frutto di tre anni di intensa collaborazione tra il museo romano e il Louvre, che, senza richiedere controparti, ha acconsentito a privarsi per quattro mesi di moltissimi e celeberrimi capolavori di arte classica. Di «impresa folle» ha parlato la direttrice della Galleria, Anna Coliva, curatrice della rassegna con Marina Minozzi e i francesi Marie-Lou Fabrega Dubert e Jean-Luc Martinez (tutti e due del Louvre), la quale, soprattutto negli ultimi mesi, ha dovuto affrontare non pochi ostacoli per la movimentazioni di statue alte anche tre metri, eseguita con perizia e tecniche secolari.
La mostra, fin dal primo colpo d'occhio, è, oltreché bellissima, di grande valore storico e fa tornare alla mente l'invettiva di Antonio Canova che, a cospetto di Napoleone, osò parlare di «incancellabile vergogna». Di fronte a un'offerta che non poteva essere rifiutata di ben 15 milioni di franchi, il principe Camillo Borghese, marito di Paolina Bonaparte, cedette infatti all'imperatore i pezzi più rilevanti della sua collezione, avviata dal Cardinal Scipione agli inizi del XVII secolo e considerata la più ricca e prestigiosa di sempre.
Quella cifra colossale non fu mai corrisposta, Camillo ricevette da Napoleone soltanto i primi quattro milioni e fu almeno moralmente costretto a integrare con nuovi acquisti quella «vendita sciagurata». Napoleone, ha sottolineato la Coliva, voleva con ogni mezzo ammantarsi dei simboli del potere e dopo le grandi conquiste militari non intendeva farsi mancare quelle della bellezza e della cultura. Prima aveva fatto suo il mondo egizio, quindi le sue mani si erano posate sui capolavori dell'archeologia custoditi nella «Villa più bella del mondo», portati via in un susseguirsi di spedizioni che avevano messo a rischio la stessa incolumità delle sculture. Alcune rimasero irrimediabilmente danneggiate, come il Gladiatore, subito restaurato, ma per tal motivo, giudicato dagli esperti del Louvre inamovibile. Anche il Seneca, la Cerere, la colossale Giunone non sono stati concessi in prestito, ha spiegato Marina Minozzi, per le medesime ragioni conservative. Ma nel complesso il Louvre è stato generoso.
Ecco, nel pieno rispetto filologico dell'allestimento settecentesco, il meraviglioso Vaso Borghese al centro della sala che ospita anche il magnifico Mercurio tra Livia e Tridate e l'altrettanto straordinario Ares Borghese tra Adorante e Pertinace. Ricostruita la sala dell'Ermafrodito, con il famoso Ermafrodito dormiente restaurato da un giovanissimo Bernini, l'Ermafrodito Stante e Castore e Polluce. Spettacolare la Sala egizia, dove sono tornati il Moro (a lungo a Versailles), la Zingara, Iside, realizzate in marmi policromi.


Come i due Camillo che ora tornano a guardare la Paolina di Canova, insuperata Venere Vincitrice.

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