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Artrite, non solo dolore. Per 350 mila donne a rischio lavoro, sesso e maternità

La malattia colpisce soprattutto le donne a partire dai 35 anni di età, è la prima causa di disabilità nel mondo occidentale e condiziona l'esistenza e la vita di coppia del cinquanta per cento dei pazienti. Secondo una ricerca, nuove speranze arrivano dal cortisone a lento rilascio

Ko a 35 anni. Rinunciare alla maternità, alla sessualità, svegliarsi con rigidità e funzionalità compromessa, convivere con il dolore cronico, il tutto già a 35 anni. Sono queste infatti le principali sensazioni fisiche che sperimentano quotidianamente in Italia 350 mila persone con artrite reumatoide. Il 75% di loro sono donne fra i 35 e i 50 anni, con un rapporto di 5 a 2 rispetto all'uomo. Lo rivela una indagine su 719 pazienti svolta dall'Onda, l'osservatorio nazionale sulla salute della donna, in collaborazione con Anmar, l' associazione nazionale malati reumatici.
Il dato che emerge è che la sintomatologia della malattia, prima causa di disabilità nel mondo occidentale, condiziona l'esistenza nella sua totalità in più della metà dei pazienti: ne risentono il buon equilibrio psico-fisico (53%) in generale, le relazioni interpersonali (47%), il desiderio sessuale (50%), la normale vita di coppia (18%), la voglia di maternità (8%), l'autostima (35%), il potere deduttivo (32%), la motricità (68%). Un quadro disarmante, di impoverimento della qualità della vita, con le mansioni lavorative che vengono spesso condotte anche in presenza di persistente dolore cronico (49%). Restano un tabù le implicazioni di natura sessuale: il 74% dei pazienti ha riserbo a parlarne con il reumatologo o il ginecologo, figura referente per la donna, ed accetta come irrisolvibile la disabilità in tutti i suoi aspetti (44%).
Buoni risultati nella cura dell'artrite reumatoide si ottengono dalla combinazione di cure e fisioterapia, con ricadute positive sul rallentamento dell'evoluzione della malattia (43%), la diminuzione del dolore (43%), un miglioramento dello stato complessivo di salute (31%), contro un 8% di pazienti che non hanno alcun giovamento dai trattamenti. Nuove speranze sono oggi correlate a cure con effetto antinfiammatorio a base di cortisone a rilascio notturno programmato. Ma molti sono i problemi connessi: proprio in relazione ai dati presentati, appare chiara la necessità di una maggior attenzione e sensibilizzazione ai risvolti emotivi e all'impatto sociale ed economico.
«L'osservatorio Onda - spiega la presidente, Francesca Merzagora - si unisce all'impegno di sensibilizzazione verso una maggior conoscenza e informazione sull'artrite reumatoide e le malattie reumatiche in genere. Vi è infatti la diffusa ed errata convinzione che colpisca soltanto la popolazione anziana. In realtà essa si estende già a partire dai 35 anni, ma non ne sono esclusi neanche i giovani e i bambini molto piccoli. Da qui l'esigenza di contrastare non soltanto lo sviluppo della malattia, ma anche di far fronte al dolore e alla rigidità mattutina con terapie innovative e mirate al miglioramento della qualità di vita».
«Per la prima volta - dichiara Giovanni Minisola, presidente della società italiana di reumatologia - con questa ricerca si affronta un importante aspetto delle malattie reumatiche: quello del loro impatto negativo sulla sessualità e sulla vita di coppia. Le ragioni vanno ricercate nelle forti limitazioni funzionali e articolari imposte dalla malattia e nella presenza di dolore cronico, che condizionano la qualità e il benessere della relazione. Ciò che colpisce, tuttavia, è lo stato di rassegnazione da parte del paziente, convinto dell'impossibilità di vedere migliorata la propria condizione, con una ricaduta positiva sulle varie componenti della vita di tutti i giorni, compresa la componente sessuale».
Dall'indagine emerge anche una riluttanza dei pazienti a discutere e ad affrontare i problemi sessuali collegati alle malattie reumatiche. «Questa ricerca - commenta Alessandra Graziottin, direttore del Centro di ginecologia e sessuologia medica dell'ospedale San Raffaele Resnati - è benvenuta . Maggiore aiuto e attenzione andranno prestati proprio alle fasce giovanili, più vulnerabili di fronte al problema dell'identità sessuale, della funzionalità sessuale e della relazione intima. Per questo, soprattutto per le donne, è necessaria una maggiore sensibilizzazione. Molti problemi possono infatti essere migliorati con terapie ormonali, almeno a livello genitale, per alleviare la secchezza vaginale, limitare il dolore nel rapporto e favorire una migliore intimità».
Anche secondo Gabriella Voltan, presidente Anmar, «resta ancora una forte componente di imbarazzo e riservatezza attorno alla malattia, specie fra le donne, che preferiscono interiorizzare piuttosto che parlare liberamente delle tante e delicate implicazioni vissute». «Valore aggiunto della ricerca - conclude Rita Melotti, membro della commissione ministeriale sulla terapia del dolore e cure palliative - è quello di avere quantificato la percezione del dolore, in particolare nella donna in fascia di età di oltre 60 anni, che si assesta in una scala da 0 a 10 su valori medi di 6.2. A queste soglie il dolore limita il buon svolgimento della vita quotidiana e ne condiziona la qualità sia per ciò che concerne la sfera fisica che psichica».

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