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Assunzioni in famiglia A Bari un docente su 4 ha lo stesso cognome

RomaMa chi ha detto che l’università italiana non serve a trovare lavoro? Serve, eccome, se si hanno le parentele giuste è l’università stessa a sfornare contratti e posti di lavoro per mogli, cognati, nipoti, generi e nuore.
L’omonimia negli atenei italiani è così diffusa che uno studente di Bari, Gianmarco Daniele, ne ha fatto l’argomento della propria tesi, scoprendo che il numero di omonimi nelle nostre università è di gran lunga superiore alla media della popolazione italiana, con picchi fino a 10 volte tanto nelle università del Sud. Un primato in campo europeo, dove accade il contrario, cioè dove il tasso di omonimia nelle università è minore della media nazionale perché gli atenei tendono ad attrarre docenti da fuori, con cognomi diversi da quelli locali. L’omonimia universitaria (un altro nome per dire «parentela») tra l’altro ha una correlazione interessante con la qualità degli atenei in cui si presenta massicciamente: incrociando i dati con le classifiche del Censis si scopre che sono proprio le università con il più elevato tasso di omonimia ad essere le più scadenti. Un caso? Improbabile, anzi un segno drammatico di quanto si necessaria una riforma radicale del sistema di reclutamento e di quello dei concorsi.
I top dell’amore famigliare si raggiungono a Bari, Roma, Palermo, ma poi anche Catania, Messina, Napoli, Caserta, Sassari e Cagliari. Dell’ateneo barese si è occupato l’economista Roberto Perotti, docente alla Bocconi con curriculum scientifico al Mit di Boston, nel suo fondamentale L'università truccata (Einaudi), che lo aveva indicato come caso limite, «tanto incredibile da raccontare in tutto il mondo». A Economia 42 docenti su 176 hanno tra loro legami di parentele, il 25%, record assoluto in Italia. Nell’università di Palermo le dinastie sono 100, sparse in tutte le facoltà, per un totale di 230 docenti «imparentati» tra loro. A Messina il 40% dei docenti ha un omonimo in qualche università della regione, a Roma il 30% e a Napoli (Federico II e Seconda università di Napoli) il 35%. All’Università di Palermo la scena è la seguente: alla Facoltà di medicina 58 docenti sono imparentati tra loro, in quella di Agraria 23 docenti su 129 sono congiunti, a Giurisprudenza 21.
Le omonomie parentali sono particolarmente diffuse - e la cosa mette i brividi - nelle facoltà di Medicina. In Lazio il 30,3% dei professori universitari di Medicina ha lo stesso cognome di almeno un altro collega laziale. In Sicilia la percentuale arriva al 38,4, in Campania 34,3, in Lombardia 21,1%, in Veneto 14,5. É istruttivo leggere questi numeri insieme alla cifre economiche dei bilanci di ateneo. I campioni di omonimia sono quelli che inghiottono più soldi per pagare gli stipendi. La Federico II di Napoli spende il 101% del suo finanziamento pubblico per il personale, Bari oltre il 90%. Il caso dell’Università degli studi del Molise è stato raccontato recentemente da un’inchiesta del mensile La voce delle voci. Lì a Campobasso da 15 anni regna il 6 volte riconfermato rettore Giovanni Cannata, ed è tutto un fiorire di ricongiungimenti familiari sotto il tetto dell’ateneo molisano. Che in compenso è all’ottavo posto nella black list ministeriale delle Università (36 in tutto) a rischio di collasso finanziario.
La parentopoli sfiora il surreale, ed è talmente lunga che possiamo dare solo un pallido assaggio. Per esempio, in organico c’è la moglie del direttore amministrativo vicario, il fratello della moglie, il cugino e pure la sua consorte. Poi assunto è il figlio della responsabile segreteria tecnica, insieme al cognato con ovviamente anche la moglie. E potremmo andare avanti per altra mezza pagina. Tutti assunti, a prescindere dalle competenze.

In una materia potrebbero dare lezione a tutti, però: diritto di famiglia.

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