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Attacchi chimici e batteriologici: così si prepara la task force italiana

Fase uno: circondare la «zona rossa» e impedire che la contaminazione si diffonda. Fase due: delimitare l’area avvelenata portando in salvo i feriti. Fase tre: scatta la caccia all’«untore». Ecco come le «squadre Nbc» del Viminale si preparano a fronteggiare la catastrofe. «Nbc» sta per nucleare, chimico e batteriologico. Ed è proprio nel timore di un attacco terroristico non convenzionale - paventata anche nella relazione 2004 dei nostri Servizi segreti - che nuclei altamente specializzati si addestrano quotidianamente con tempi scadenzati al secondo ed equipaggiamenti pronti all’uso. Delle tre tipologie di attentato solo quello chimico prevede la possibilità di contenere i danni con un intervento fulmineo e pianificato fin nei minimi dettagli. Di fronte all’esplosione di una «bomba sporca» condita con materiale nucleare, infatti, ci sarebbe ben poco da fare. Se l’attacco fosse invece di tipo batteriologico - prendiamo il caso della contaminazione di un acquedotto - degli effetti ci si accorgerebbe quando è ormai troppo tardi. La minaccia di un’offensiva terroristica con gas chimici - gli unici innestabili su un ordigno dinamitardo - è reale, al punto che da qualche tempo l’Unità di crisi della presidenza del Consiglio ha adottato un piano specifico. Nulla dev’essere lasciato al caso. Ogni istante può essere prezioso, ogni ritardo fatale. Anche perché se lo scopo è portare in salvo i feriti contenendo la diffusione delle tossine, altrettanto importante è la messa in sicurezza degli agenti che intervengono sul posto.
Per questo nella caserma Verdirosi di Rieti, dove ha sede la scuola Nbc, nella cittadella dell’incubo chiamata «Nubich», gli uomini delle forze armate e delle forze dell’ordine intensificano gli addestramenti per fronteggiare l’Apocalisse, simulando attacchi chimici contro una scuola, una stazione, una fermata della metropolitana, un cinema, e ogni altro luogo nel quale le squadre della morte potrebbero colpire dove meno ce lo aspettiamo.
Ecco dunque come si presenterebbe la scena del disastro in caso di un attacco non convenzionale, e come le speciali task-force predisposte dal Viminale si preparano a fronteggiarlo, con profilassi e piani di intervento rigorosamente codificati sulla falsariga del manuale anticrisi. L’esplosione, l’asfissia, il panico. Nell’area infestata dal gas tossico le persone dopo il primo shock si sentono soffocare, portano le mani alla gola. Quindi si tenta la fuga. Ma è proprio questo che gli uomini della task-force dovranno riuscire ad evitare, circondando la zona contaminata per evitare il contagio con chi è rimasto fortunatamente illeso. Il primo istinto è portare la mano al telefono cellulare, sperando innanzi tutto di esserne muniti, che sia ancora funzionante dopo lo scoppio dell’ordigno, e infine che nel luogo dell’attentato ci sia segnale sufficiente a far partire la chiamata verso il 112 o il 113, dove gli agenti della centrale operativa hanno un ordine tassativo: allertare immediatamente i vigili del fuoco «di tipo A» (24 unità operative dislocate presso 16 comandi provinciali sulla base degli obiettivi a rischio) e solo in seconda battuta i propri superiori gerarchici. Nell’immediatezza dell’attacco chimico, infatti, solo i pompieri sono dotati degli strumenti di rilevazione e delle attrezzature adeguate per intervenire senza a loro volta essere contaminati all’istante.
La rapidità è tutto. Quando scatta l’allarme dalle centrali operative, le vetture dei vigili del fuoco hanno tra i due e i quattro minuti per lasciare le caserme a sirene spiegate. Nel tragitto gli uomini indossano le speciali tute Tyveck, guanti iperprotettivi, stivali senza fessure, elmo e sottoelmo, nomex, e sopra a tutto una speciale tuta «palombaro» che copra anche la maschera antigas e la bombola per respirare.
I vigili del fuoco, tra le quattro e le dieci unità, si catapultano in avanscoperta sulla «zona rossa», quella di massima contaminazione. Valutano lo scenario, aperto o chiuso, isolato o a contatto con altri ambienti. Imbracciano i rilevatori di sostanze venefiche per verificare tipologia e tossicità del gas, e gli anemometri per studiare le successive mosse calcolando il grado di purezza della sostanza tossica e la velocità del vento. Quindi, con il nastro bianco-rosso e con bandierine delimitano la zona rossa/calda da quella gialla, dove la contaminazione è minore. Solo a questo punto ad impedire che persone entrate a contatto col gas chimico fuoriescano incontrollatamente moltiplicando il pericolo. Le squadre del Reparto mobile della Polizia, intanto, allertate dalle sale operative subito dopo i vigili del fuoco, sopraggiunte sul teatro dell’attacco equipaggiate a dovere, provvedono alla «cinturazione» della zona a rischio. E qui cominciano gli imprevisti. L’esempio è quello di un attentato alla linea metropolitana. Se ad essere colpito è un capolinea, è relativamente agevole veicolare il flusso in direzione opposta e delimitare l’area. Ma se l’esplosione tossica dovesse verificarsi nel bel mezzo di una linea, come impedire che la contaminazione dilaghi a macchia d’olio?
Gli agenti della «fase due» arrivano muniti di radio, tute bianche, valigette, ognuno controllato a vista dal suo compagno affinché eventuali falle nell’equipaggiamento non risultino letali. A venti minuti dall’attentato arrivano altri vigili del fuoco, stavolta di supporto, ad occuparsi dei feriti e delle ambulanze che nel frattempo sono sopraggiunte. Entro i trenta minuti, per tutti i pompieri scatta la caccia all’«untore», alla ricerca delle tracce del veleno; immediatamente dopo è la volta della Polizia scientifica che setaccia l’area per trovare la pistola fumante, la traccia del crimine commesso. Nel perimetro esterno, i vigili del fuoco avviano intanto la decontaminazione e la bonifica degli intossicati, che solo a quel punto possono essere caricati sull’ambulanza e trasferiti negli ospedali.
Quarantacinque minuti: è la volta delle unità dei carabinieri e della polizia di supporto. Cinque minuti dopo, interviene una ulteriore squadra Nbc che con barelle elastiche preleva gli altri feriti in attesa del trasferimento in ospedale, e li adagia uno accanto all’altro in una zona contaminata ma più sicura. Anche il fronte della prevenzione impensierisce le autorità di sicurezza, poiché alcuni dei gas più temuti per un attacco chimico (i nervini volatili come tabun, sarin e soman, e i non volatili come gli amatoni) si possono trovare anche su Internet. Al punto che è stata istituita un’apposita commissione con la partecipazione dei Servizi segreti che svolga attività di intelligence e monitoraggio sui canali manifesti e occulti di smistamento dei materiali tossici.

Ne seguono le tracce, nella speranza che qualche campione di veleno non si insinui nelle maglie della rete di controllo finendo nelle mani di chi da qualche tempo vuole colpire la nostra capitale con la bomba sporca di Allah.

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