La stanza di Feltri

Il giornalismo pigro fa male a se stesso

La crisi della carta stampata è generale e ne soffriamo da ben oltre un decennio ormai

Il giornalismo pigro fa male a se stesso

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Buongiorno Direttore Feltri,
Urbano Cairo, sul quale si vocifera che possa essere candidato sindaco di Milano al prossimo giro, dall'oggi al domani ha deciso di chiudere non uno, non due, neppure tre, ma addirittura cinque riviste, mandando a casa i dipendenti per i quali questa notizia è stata un fulmine a ciel sereno. Si parla di prepensionamenti e cassa integrazione. Non sarebbe stato opportuno valutare altre strade e altre possibilità prima di stabilire la morte di cinque giornali storici gettando nella disperazione decine e decine di famiglie? Lei che ha fondato un quotidiano e che nelle redazioni lavora da sempre cosa suggerirebbe allo sprovveduto Urbano?
Luca Corradini

Caro Luca,
non penso che Urbano Cairo sia uno sprovveduto dato che è riuscito ad emergere dal nulla come editore, arrivando ad acquisire il Corriere della Sera, che è il primo quotidiano nazionale per tiratura e numero di lettori. Quantomeno è più furbo di me e te. La crisi della carta stampata è generale e ne soffriamo da ben oltre un decennio ormai. Non possiamo imputarla soltanto all'avvento dei social network e dei siti di informazione, ma senza dubbio la disponibilità immediata e costante di notizie facilmente reperibili sulla rete ha comportato la perdita della buona abitudine di acquistare i giornali ogni mattina. Tutto ciò ha a sua volta determinato quel fenomeno tristissimo e dilagante persino in una metropoli come Milano: le edicole sono sempre più esigue, muoiono una dietro l'altra, tanto che ormai è diventato arduo trovarne una disponibile nel proprio quartiere. Nel capoluogo meneghino ne restano attive appena mille. È tramontata un'epoca, prendiamone atto e non stupiamoci dunque se un editore è costretto, suo malgrado, a rinunciare al suo giornale e dunque a licenziare, cosa che nessuno di noi vorrebbe fare, o a obbligare alla cassa integrazione i suoi dipendenti. Questa realtà mi fa addirittura male.

È doloroso per me, che fin da bimbo ho amato la carta stampata, assistere a tale mutamento, a questa fine. Di anno in anno si registrano cali nelle vendite, che crollano di oltre il 10% ogni dodici mesi, e i fogli sono in continua sofferenza. Si tenta di stare a galla come si può, anche grazie all'aiuto dei finanziamenti pubblici, quei sostegni all'editoria la cui ratio risiede nella necessità di tutelare la libertà di informazione e il pluralismo delle voci. Però non è semplice.

Quindi comprendo l'esigenza di dovere rinunciare a qualche pubblicazione, decretando in tal modo il trapasso di qualche giornale. Quale editore sarebbe lieto di farlo? Nessuno. Si fa perché si deve. Così Cairo ha dovuto dire addio ad Airone, For Men, Bell'Italia e altre riviste. E non è escluso che la decimazione prosegua. E adesso dovrà occuparsi di altre rogne, ovvero del ricollocamento di quei dipendenti che si trovano senza un impiego.

Non è colpa di Cairo. Non è colpa del web. In questo caso parlerei di concorso di responsabilità. E anche noi giornalisti e direttori abbiamo le nostre. Da lettore quale sei, ti sarai reso conto, caro Luca, che non solamente le abitudini sono cambiate a causa dell'avvento della tecnologia informatica, bensì siamo cambiati anche noi, cioè il nostro modo di fare giornalismo, che riconosco essere sempre più noioso, sempre più sterile, sempre più ripetitivo. Il cronista si è impigrito. Permane tutto il giorno con il fondoschiena abbandonato sulla sedia, non cammina, non esce dalla redazione, non si muove, quindi non vede, non sente, non osserva con i suoi occhi. Maneggia agenzie, che ripubblica svogliatamente. Sono pochi quelli che ancora consumano le suole. Ne deriva una informazione priva di anima, di emozione, di partecipazione, di sentimento, di passione, che non può colpire, appassionare, emozionare il lettore, il quale inevitabilmente si disaffeziona e smette di leggerci. E in qualche caso fa pure bene.

Siamo noi il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo... Così diceva qualcuno.

Del resto, se pretendiamo di essere letti, cerchiamo di essere almeno leggibili.

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