La stanza di Feltri

Star soli è un diritto (anche per le pecore)

Chi ci garantisce infatti che la pecora più sola del mondo non volesse rimanere da sola?

Star soli è un diritto (anche per le pecore)

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Star soli è un diritto (anche per le pecore)

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Caro Direttore,
ho letto la storia della pecora più sola del mondo, chiamata così perché si trovava bloccata su una sorta di isola deserta, ovino che è stato salvato attraverso una raccolta di fondi promossa da un ragazzo modenese che vive a Londra. La partecipazione della gente, che ha firmato per il recupero della bestia, è stata importante. Ma siamo sicuri che questa povera creatura sia stata felice di essere presa e portata via da un'isola dove se ne stava forse beatamente per i fatti suoi?
Io vivo da solo da anni ormai, avendo perso mia moglie già da un ventennio, e ci sto alla grande. Quindi mi metto nei panni, anzi nel pelo, della pecora, che gli esseri umani, per spirito di altruismo, hanno deportato in una fattoria.
Vincenzo Mazzotta

Caro Vincenzo,
ho scelto la tua lettera perché mi ha fatto sorridere e penso anche che le tue considerazioni, sebbene suscitino la mia ilarità, contengano riflessioni argute e azzeccate.

Chi ci garantisce infatti che la pecora più sola del mondo non volesse rimanere da sola?

La domanda è opportuna e solleva altre valutazioni inerenti la nostra cultura, il nostro modo di vivere, le nostre convinzioni, i nostri pregiudizi. Diamo per scontato che per essere felici necessitiamo di compagnia, che l'essere umano, e così pure gli animali, abbiano bisogno nonché desiderio di aggregarsi per vivere una esistenza piacevole, decente, degna di essere vissuta.

La nostra cultura contiene un sentimento di avversione nei riguardi della solitudine, ossia diamo per scontato che chi è solo sia sfigato, reietto, misero, escluso, emarginato, che sia solo non per decisione sua, bensì che patisca tale condizione, insomma che sia solo perché altri non lo hanno voluto o lo hanno isolato.

Invece la solitudine può costituire una scelta individuale consapevole e non rappresenta sempre qualcosa di negativo. È nella solitudine che possiamo compiere un'opera di introspezione, che possiamo crescere, evolvere, progredire, imparare, ascoltarci, trovare la nostra serenità. È stando da soli che possiamo sviluppare quelle capacità che ciascuno di noi possiede.

Non mi sono mai fidato di coloro che dalla solitudine rifuggono, che ne hanno orrore, che cercano di riempirla con chiunque, pur di non subirla, pur di non fare i conti con i propri fantasmi interiori, pur di non stare in silenzio, quel silenzio che ci impone di ascoltarci nel profondo e di confrontarci con il nostro io interiore.

Nel caso della pecora in questione, non mi serve essere un etologo per concludere che gli ovini siano mammiferi che stanno bene nel gruppo, ovvero nel gregge. Da sempre abitano insieme, si muovono insieme, pascolano insieme, tornano all'ovile insieme. Persino il Vangelo ci consegna l'immagine della pecora sola come quella smarrita, cioè persa in tutti i sensi, la quale ha perduto anche Dio, non solamente la retta via o il gruppo.

Non è azzardato immaginare che questa pecora avesse nostalgia dei suoi simili o della presenza umana, che fosse annoiata dal troppo tempo trascorso da sola, su un isolotto, in mezzo al mare. Tuttavia, hai ragione anche tu: chi diavolo ce lo assicura? Non possiamo mica interrogarla su questo punto e, anche se lo facessimo, avremmo come risposta un solenne: Beeee, che aprirebbe diversi scenari interpretativi.

Magari adesso che è in una bella fattoria, trattata da star, con la colazione sempre pronta, i pasti assicurati, le chiacchiere delle sorelle che belano alle sue orecchie dalla mattina alla sera (non la invidio per niente), la pecorella rimpiange la beatitudine dell'essere sola e persino dimenticata, dispersa su un pezzo di terra altrettanto desolata dove essa non corre alcun pericolo di imbattersi in un rompiscatole.

Siamo onesti: chi di noi non lo ha sognato almeno una volta nella vita?

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