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Tim-Open Fiber, l’antidoto anti-ritardi

Con le nozze sinergie e più efficienza. Il governo al lavoro per spingere i cantieri della fibra

Tim-Open Fiber, l’antidoto anti-ritardi

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Una grande rete nazionale, con spalle larghe per tenere il passo sugli investimenti e accompagnare l’Italia nella trasformazione digitale. Lo scorporo della rete di Tim - appoggiato dal governo e disegnato dall’amministratore delegato Pietro Labriola - ha come punto d’arrivo la fusione con Open Fiber, società della fibra controllata al 60% da Cassa depositi e prestiti e al 40% dal fondo Macquarie.

E che tutto questo abbia un senso industriale lo si sta vedendo in queste settimane. Si è parlato dei ritardi nei bandi «Italia 1 Giga», progetto da 3,4 miliardi finanziato con i fondi del Pnrr, e del Piano strategico Bul (di cui si sta occupando Open Fiber) per la copertura con la connessione in fibra per borghi e aree disperse, la cui conclusione è slittata a 2025 inoltrato. Alla base ci sono le problematiche di un bando Infratel - con una mappatura dei civici da raggiungere con la fibra - molto impreciso, che ha comportato decine di migliaia di chilometri di fibra extra da posare, più costi e un allungamento di tempi. Sta di fatto che il progetto Italia 1 Giga, che ha lotti in capo a Open Fiber e altri assegnati a Tim, deve essere concluso tassativamente entro il 30 giugno 2026. Per accorciare i tempi dei lavori, fatto salvo il numero di civici da coprire, il governo è orientato ad accettare la proposta di Open Fiber che ha chiesto di poter collegare civici in prossimità di quelli da collegare (tra i quali tanti sono risultati addirittura inesistenti) evitando quelli più dispersi e ottenendo una rete più omogenea. Norma di cui beneficerebbe anche Tim.

Sul piano Bul, invece, il ministero delle Imprese pare propenso a riconoscere 600 milioni di extra costi alla società guidata dall’amministratore delegato Giuseppe Gola. Potrebbe poi esserci un allungamento della concessione, attualmente di vent’anni, a ulteriore compensazione. Il tutto dovrebbe essere in un emendamento al Dl Pnrr. Ma al di là di questo, unire Open Fiber e Tim farebbe nascere una società più robusta, anche a livello finanziario, da cui nascerebbero sinergie ed efficienze. Vuoi anche solo di manodopera: con i vari attori che, oggi, sono costretti a contendersi tecnici che non si trovano. Insomma, le nozze avrebbero il benefit di ridurre al minimo i ritardi, quando si parla di grandi opere pubbliche.

C’è poi anche il rovescio finanziario della medaglia. L’unione con Open Fiber è una chiave di volta per mettere tutti d’accordo sulla cessione della rete. Nelle more dell’affare che Tim ha delineato col fondo Usa Kkr, c’è un cospicuo earn-out da 2-2,5 miliardi per le nozze con Open Fiber (a cui aggiungere altri 800 milioni per la vendita di Sparkle e 300 milioni dalla quota di Inwit). Un tesoretto che la tlc potrebbe destinare almeno in parte a un extra dividendo per i soci. A partire da Vivendi, che ha il 23,7%, e che deve recuperare la perdita di valore (oggi intorno ai 3,2 miliardi) che il gruppo transalpino ha a referto su Tim. Senza contare che il ritorno della cedola spingerebbe il titolo più in alto dalle attuali secche borsistiche. Prospettiva che per ora non basta a convincere Vivendi, contraria alla vendita della rete.

Ma è certo l’inizio per trovare una via d’uscita più proficua di uno scontro col governo.

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