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Basta con i talebani dello smog

DATI La radioattività cui siamo esposti proviene per l’80 per cento dalla natura

Proporsi di avere inquinamento zero dell'aria appare forse lodevole, ma è sicuramente velleitario: l'inquinamento zero non esiste, non foss'altro perché una buona porzione di esso è d'origine naturale.
Prendiamo ad esempio quello che è considerato, a torto, il più temibile: l'inquinamento radioattivo. La radioattività cui tutti noi siamo esposti proviene per l'80% dalla natura e per il 20% dalla diagnostica medica. Attività industriali, militari e belliche, e incidenti contribuiscono sulle cifre decimali ai valori detti: le bombe atomiche, i test nucleari e l'incidente di Chernobyl, tutti insieme, hanno elevato di qualche decimo percentuale la radioattività naturale; e i 900 reattori nucleari attivi nel mondo (la metà dei quali adibiti alla produzione elettrica) non l'hanno elevata affatto. La stessa filosofia vale per l'inquinamento atmosferico, anche se per esso il contributo entropico è maggiore.
Insomma, è il concetto di inquinamento che dovremmo rivedere: non è inquinamento una qualsivoglia modificazione ambientale, ma solo quella che implica danno. Non aver rivisto il concetto nel senso detto ha comportato, ad esempio, che si prescrivesse che le dosi ammissibili di radioattività da attività umane fossero addirittura la metà della dose naturale media.
La prescrizione è tanto più sciocca in quanto esistono intere popolazioni (in Brasile o in India, ad esempio) esposte a dosi anche 50 volte superiori alla dose naturale media, senza che si sia osservato in esse alcun aumento d'incidenza di alcuna patologia anche solo associata alle radiazioni.
La prescrizione non è solo sciocca, ma anche moralmente riprovevole, perché mantenere livelli di emissione così bassi comporta impegni economici consistenti, e ciò storna risorse preziose da emergenze reali per allocarle nella protezione da inesistenti pericoli.
Lo stesso accade con le norme europee sull'inquinamento urbano: esse prescrivono, ad esempio, che le polveri sottili non superino i 50 microgrammi/metro cubo, un limite inutilmente restrittivo e che potrebbe benissimo elevarsi a 150 o anche 200 microg/mc e restare anche così di molto al di sotto di valori con rilevanza sanitaria. Gli sforzi economici degli interventi strutturali per cercare di stare sotto i limiti di legge sono poderosi, magari di successo, e forse anche di beneficio per altri aspetti, ma la loro valenza sanitaria è nulla.
Viceversa, bloccare il traffico saltuariamente, con provvedimenti tipo targhe-alterne o domeniche-a-piedi crea solo fastidi e danni economici fini a se stessi e, per giunta, è destinato al sicuro fallimento, non solo per i benefici sanitari, ma anche per la riduzione dell'inquinamento. Non è difficile comprenderlo: il traffico incide per il 30% all'inquinamento atmosferico, e un provvedimento targhe-alterne ipoteticamente operativo per 365 giorni l'anno, 24 ore su 24, ridurrebbe quell'inquinamento, forse, del 15% appena.
L'argomento del giorno, o della settimana, su questo tema è la decisione di un centinaio di sindaci di aderire all'iniziativa di bloccare il traffico per l'ultima domenica del mese di febbraio. Insomma, pare che in tutta la pianura Padana quel giorno non si circolerà. Una iniziativa del genere avrà sicuramente successo: apparirà come una stravaganza estemporanea, un giorno d'evasione dal tran-tran domestico per le signore e un giorno di baldoria per chi ha poca fantasia. Una sorta di sabato del villaggio, anche se sarà di domenica.
Finita la baldoria, la domanda è: la si potrà ripetere tutte le domeniche dell'anno?
Intanto, no: chiedetelo ai ristoratori, ad esempio. Ma, nella improbabile ipotesi si ripetesse tutte le sante domeniche, posto che il traffico domenicale è meno della metà del traffico feriale, la riduzione dell'inquinamento da traffico sarebbe del 7%, e del 2% quello atmosferico.


Altra domanda: avrebbe l'iniziativa un valore educativo sul fronte ambientale, come qualcuno sostiene?
Al contrario: la consapevolezza di essere obbligati a fare azioni stupide e senza alcun beneficio ambientale aumenta la disaffezione verso i problemi ambientali, visto che diventerebbe sempre più evanescente il confine tra il serio e il faceto.
Possibile che la favola di «Al lupo, al lupo!» non ha insegnato nulla?

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