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Basterà un prelievo di sangue per sapere se il feto è sano

A Perugia sperimentata una tecnica che nel 95% dei casi può sostituire l’amniocentesi. Ed elimina ogni rischio per il nascituro

Basterà un prelievo di sangue per sapere se il feto è sano

Milano - C'è un'alternativa all’amniocentesi che non comporta rischi e il cui esito arriva in metà del tempo. Si tratta di un semplice prelievo di sangue che può essere fatto fin dalla decima settimana di gestazione e che analizzato con le tecniche messe a punto per la prima volta al mondo dall'equipe diretta da Giancarlo Di Renzo dell'università di Perugia consente di individuare eventuali anomalie nei cinque cromosomi più importanti, responsabili cioè del 95 per cento delle patologie del nascituro. La scoperta del nuovo metodo di diagnosi arriva sulla scia di un'altra importante acquisizione scientifica degli anni '90 fatta dalla ricercatrice americana Diana Bianchi, della Tufts university school of medicine di Bostonda e cioè che cellule staminali del feto migrano nell'organismo della madre.

Il gruppo di Di Renzo ha scoperto non soltanto come individuarle, ma come analizzarne il corredo di cromosomi e ieri, in occasione del Congresso mondiale di medicina perinatale in corso a Firenze, ha presentato i risultati della ricerca che è in corso di pubblicazione su una rivista scientifica internazionale.

Altra importante novità è che c’è un dottore insospettabile a disposizione di tutte le donne che hanno avuto almeno una gravidanza: il feto lascia loro in regalo un pacchetto di cellule staminali capace di attivarsi in caso di malattia. «Sono cellule immature che restano nell’organismo della donna per decenni, sempre pronte a curarla», ha annunciato Bianchi ieri a Firenze, in apertura del congresso. «Una gravidanza dura per sempre», ha osservato la ricercatrice americana.

Le cellule del feto che attraversano la placenta durante la gravidanza non sono completamente immature: sono cellule progenitrici del sangue che, una volta raggiunto un organo, sono pronte a svilupparsi in una particolare direzione: per esempio, se nel fegato compaiono lesioni dovute all’epatite, le cellule fetali si trasformano in cellule epatiche. È un corredo di cellule «tuttofare» che il feto ha regalato alle madri fin dai primi mesi della gestazione. Il gruppo di Diana Bianchi ne ha individuato grandi quantità annidate nel fegato e le ha viste attivarsi quando l’organo è stato minacciato da una malattia seria come l’epatite C. Cellule simili sono state viste in azione anche nella tiroide e sono state individuate anche nella milza e nei polmoni.

Ma torniamo al lavoro fatto dal gruppo tutto italiano diretto da Di Renzo, docente universitario di ginecologia e ostetricia, attualmente direttore della clinica di Ostetricia e ginecologia dell'ospedale di Perugia, tra gli italiani più conosciuti all’estero nel campo della medicina materno-fetale e perinatale. Rispetto all'amniocentesi, il prelievo è più precoce perché può essere fatto fin dalla decima settimana di gravidanza e l'esito è disponibile in una decina di giorni. Non evidenzia, però tutte le anomalie cromosomiche come avviene nell'amniocentesi, ma solo quelle relative ai cromosomi sessuali X e Y e ai cromosomi 13, 18 e 21 (quest'ultimo responsabile della sindrome di Down). «Si tratta dei cromosomi più importanti - sottolinea l'accademico - responsabili del 95 per cento delle patologie del nascituro». Dopo aver concluso la sperimentazione animale, dalla primavera scorsa è iniziata quella sull'uomo.

In particolare, una volta ottenuto il via libero dal comitato etico dell'ospedale e dalla regione Umbria, il test è già stato utilizzato su un «migliaio di gestanti», aggiunge Di Renzo.

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