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Il bello del degrado

La nuova forma d'arte si chiama Urbex: scopre e immortala edifici abbandonati

Il bello del degrado

Ci sono luoghi che non appartengono a nessuno, dove il tempo sembra essersi fermato. Sono vecchie fabbriche, ville abbandonate, ospedali fatiscenti. Dimenticati lì, in un giorno preciso, lontano. Con i macchinari intatti, i cassetti dei comò ben chiusi, i letti fatti. Dietro alle sterpaglie, alla ruggine e alla muffa che li avvolgono, ci vedi passati gloriosi, dettagli impolverati di vita quotidiana, storie che chissà a quanti anni fa risalgono. E anche se ora sono solo ruderi consumati, hanno quel sapore di decadenza che li rende unici. In attesa di sapere se verranno mai abbattuti o ristrutturati, sono mete di pellegrinaggio per architetti e fotografi. E per tutti quegli «esploratori urbani» che sanno guardare oltre il degrado, intuendone il fascino, immaginandone il potenziale.

ARTE TRA LE ROVINE

In gergo si chiama Urbex, che sta per «urban exploration». È l'arte di andare a caccia di edifici abbandonati e di infiltrarsi in costruzioni spesso pericolanti. Con l'unico scopo di scattare qualche foto, possibilmente senza toccare nulla. Sono in tanti a praticarla, gruppi di appassionati che sorgono in ogni parte d'Europa e Italia e che condividono i loro scatti via web, raccontando nei blog le storie di palazzi, navi fantasma, ex manicomi, vecchi parchi divertimenti. Tra i siti più completi ci sono «Ascosi Lasciti» e «I luoghi dell'abbandono». Uno dei blog più visitati è quello di Matteo e Deborah, i «Vagabondi squattrinati», che riportano i lavori di vari fotografi o scatti dei loro viaggi. Gli esploratori urbani non sono avventurieri improvvisati, ma hanno un preciso vademecum da seguire. Innanzitutto per capire che si tratta di un'attività che oscilla tra il lecito e l'illecito (è un attimo essere accusati di avere violato una proprietà privata) e poi per evitare di cacciarsi in situazioni pericolose. «Sappi che forzare un ingresso è un crimine aggiuntivo a quello di violazione di proprietà - spiegano i siti di Urbex -. Non portare con te cacciaviti o tenaglie: se vieni fermato questi arnesi saranno sufficienti a metterti nei guai per tentato furto. Attenzione alla presenza di vandali e abusivi». Altra regola da tenere presente riguarda l'equipaggiamento: no magliette a maniche corte né tute da ginnastica (si impigliano facilmente tra i rovi e non riparano da graffi). Le scarpe devono avere una suola spessa e il collo alto per riparare da vetri rotti o chiodi.

I PERICOLI

Bisogna sempre portare con sé un kit di pronto soccorso e, negli edifici pericolanti, stare molto attenti ai pavimenti a rischio crollo o ai bordi dei cornicioni. Va sempre portata con sé una bomboletta spray, soprattutto se ci si inoltra in cunicoli bui, per segnare i bivi e non perdersi nei labirinti sotterranei. E poi la raccomandazione più importante: lasciare la struttura intatta. «L'esplorazione urbana - spiegano i ragazzi del movimento artistico - è provare il fascino delle aree fantasma, il piacere di scattare foto e produrre video e non becero vandalismo. Non rovinare l'esperienza ai futuri esploratori. In questi luoghi si è comunque degli ospiti e vanno trattati con rispetto». Insomma, la ricerca del bello del degrado è una cosa seria, non per tutti. Fondamentale è anche il momento della post produzione, quando si sistemano le foto, esaltandone luci e ombre. Solitamente gli appassionati di Urbex pubblicano i lavori più belli. C'è chi nei forum indica con precisione la posizione del rudere esplorato suggerendola agli altri appassionati e c'è invece chi preferisce tenerla segreta. Il bello dell'esplorazione sta anche il questo: nella ricerca del luogo, a volte trovato per puro caso in mezzo a un campo, a un bosco, o in qualche area industriale di periferia.

ARCHITETTI VISIONARI

Per raccontare le origini dell'Urbex, l'archistar Stefano Boeri cita gli edifici fatiscenti e le città immaginarie del film The stalker di Andrej Tarkovskij. Ed è proprio quell'atmosfera, immobile e malinconica, che cercano i fotografi esploratori. «Ovviamente il degrado non è bello ma un'opportunità perché ci si trova di fronte a uno spazio non decodificato - spiega Boeri -. È affascinante vedere come ogni edificio invecchi a suo modo, come la natura si riappropri del paesaggio urbano creando un'estetica spontanea. La vera sfida è intuire il potenziale di quel luogo dimenticato». Sono proprio le proiezioni mentali dei grandi architetti che permettono di dare una seconda vita ai luoghi.

E così, per fare qualche esempio, l'ex mattatoio del Testaccio di Roma è diventato sede universitaria, scuola di musica, città dell'«altra economia». L'ex raffineria di Catania è un centro per le arti contemporanee. Le ex Varesine di Milano ospitano i grattacieli più avveniristici e il Bosco verticale dello stesso Boeri che ha anche immaginato, e progettato, un fiume verde al posto degli scali ferroviari milanesi abbandonati. Una vera e propria riforestazione urbana che darà un nuovo volto alle aree del degrado. Fondamentale, prima dei progetti definitivi, è anche la fase intermedia dei luoghi, da utilizzare per usi temporanei: una nuova sfida che l'architettura sta cogliendo appieno assieme alla filosofia dell'intervenire sul costruito anziché sui terreni liberi.

IL CENSIMENTO CHE NON C'È

L'altro lato della medaglia del degrado è fatto di ettari ed ettari sprecati. Dimenticati non solo dai progettisti ma anche dai censimenti ufficiali, inesistenti o incompleti. In base a una stima di Legambiente, gli edifici abbandonati sarebbero oltre 5 milioni in tutta Italia. A questi si aggiungono quelli a pezzi: il 45% degli edifici pubblici è stato realizzato prima del 1945. Inoltre, in base a un rapporto Istat, il 3% del territorio nazionale (novemila chilometri quadrati) è rappresentato da aree industriali dismesse. Ma una mappatura completa dei luoghi fantasma non esiste, soprattutto quando si tratta di una villa privata o di un palazzo antico.

Per questo, nella ricostruzione dell'Italia che non c'è più, anche il tassello fotografato dagli appassionati di Urbex contribuisce a fare vivere i luoghi di nessuno.

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