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Benedetto XVI assolve il preservativo: a volte è giustificato

Il Papa a sorpresa nel suo libro-intervista: "Le prostitute che lo usano compiono un atto di responsabilità e mostrano che non tutto è lecito". Resta il no alle donne prete, mentre l'uso del burqa "è lecito solo se è volontario". Ratzinger sa che il sesso è l'oppio dei popoli / Marcello Veneziani

Benedetto XVI assolve 
il preservativo: 
a volte è giustificato

Roma «Concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità», ma «vi possono essere singoli casi giustificati» per il suo utilizzo. È un passaggio, destinato a far scalpore, del nuovo libro-intervista di Benedetto XVI. Il volume, scritto dal giornalista Peter Seewald (del quale già ieri il Giornale ha riportato alcuni brani) s’intitola Luce del mondo. Il Papa, la chiesa e i segni dei tempi (Libreria Editrice Vaticana, pagg. 284, 19,50 euro) e sarà in vendita da martedì.
Ad anticipare questo come altri brani del volume è stato ieri pomeriggio L’Osservatore Romano: le parole del Pontefice sul preservativo hanno fatto il giro del mondo e hanno finito, com’era peraltro prevedibile, per far passare in secondo piano sia gli altri capitoli del libro che l’editore aveva deciso di anticipare su alcuni quotidiani, sia, soprattutto, il concistoro dei nuovi cardinali.
Questo è il passo dedicato al condom: «Concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa ragione per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l’espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sé. Perciò anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinché la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull’essere umano nella sua totalità». Ma Ratzinger aggiunge: «Vi possono essere singoli casi giustificati, ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico, e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole». Tuttavia, conclude, «questo non è il modo vero e proprio per vincere l’infezione dell’Hiv. È veramente necessaria una umanizzazione della sessualità».
È ovvio che il Papa non ritenga il profilattico la risposta più adeguata, ma nel caso preciso di chi si prostituisce, ammette che possa essere giustificato al fine di non infettare il cliente, anche se questo dovrebbe essere solo un primo passo verso la moralizzazione. Negli anni scorsi altri teologi e cardinali avevano parlato di questa possibilità estendendola anche al caso della coppia di sposi con uno dei due sieropositivo. C’è anche un piccolo giallo attorno alla versione italiana: l’anticipazione su L’Osservatore parla di «prostituta che utilizza il profilattico», al femminile, mentre il testo originale tedesco, e le traduzioni inglese e francese, usano il termine al maschile, «prostituto».
Nella risposta successiva (che non c’è sul quotidiano vaticano ma che ieri è stata diffusa da varie agenzie inglesi), Seewald, per capire meglio la portata di ciò che afferma il Papa, chiede: «Sta dicendo allora che la Chiesa cattolica in verità non si oppone per principio all’uso del profilattico?». Ratzinger risponde che la Chiesa «certamente non vede il suo uso come una soluzione vera o morale, però in alcuni casi ci potrebbe essere l’intenzione di ridurre il rischio di infezione, un primo passo verso un modo diverso, un modo più umano di vivere la sessualità».
In un altro passaggio del volume il Pontefice parla del burqa indossato dalle donne islamiche, dicendosi favorevole: «Non vedo ragione di una proibizione generalizzata. Si dice che alcune donne non lo portino volontariamente ma che in realtà sia una sorta di violenza imposta loro. È chiaro che con questo non si può essere d’accordo. Se però volessero indossarlo volontariamente, non vedo perché glielo si debba impedire.
Dall’intervista emergono anche tante notizie, tanti particolari, tante curiosità che permettono di conoscere più da vicino il Papa. Ad esempio si apprende che Benedetto XVI ama guardare alla Tv i film di don Camillo e Peppone, l’insuperata serie di lungometraggi rigorosamente in bianco e nero, che negli anni Cinquanta e Sessanta consacrarono l’opera di Giovannino Guareschi. «Quali film le piacciono?», domanda Seewald. «C’è un film molto bello su santa Giuseppina Bakhita, una donna africana, che abbiamo visto recentemente», risponde il Pontefice, aggiungendo: «Poi ci piace Don Camillo e Peppone….». «Immagino che conosca a memoria ogni episodio» lo interrompe l’intervistatore. Ratzinger ride: «Non tutti...». Benedetto XVI, con la sua «famiglia pontificia» composta dalle quattro memores domini, le quattro laiche consacrate che curano l’appartamento, e ai due segretari, nelle rarissime occasioni in cui guarda la Tv, ama vedere i vecchi film di don Camillo e Peppone, interpretati dagli indimenticabili Fernandel e Gino Cervi, che interpretano il parroco sanguigno e dai modi assai poco clericali, in perenne scontro con l’altrettanto sanguigno sindaco comunista nel paese di Brescello. L’immagine di una società nella quale gli uomini dell’uno e dell’altro campo si riconoscevano ancora in valori comuni.
In un altro passaggio del libro-intervista, infine, il Papa confida, con estrema semplicità e serenità, anche la sua reazione in quel 19 aprile 2005, quando il conclave lo scelse. «Veramente, avevo sperato di trovare pace e tranquillità.

Il fatto di trovarmi all’improvviso di fronte a questo compito immenso è stato per me, come tutti sanno, un vero shock.

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