Benessere

Anna Arnaudo, l’atleta azzurra con il diabete di tipo 1

Ha scoperto la patologia a 18 anni, ma non si è mai fermata: "Quando corro posso davvero smettere di pensare al diabete, mi aiuta a vincere"

Anna Arnaudo, l’atleta azzurra con il diabete di tipo 1: "Non è un ostacolo"

Anna Arnaudo è un’atleta azzurra nata nel 2000. A 18 anni ha scoperto di avere il diabete di tipo 1. Significa che deve monitorare la sua glicemia tramite un sensore che indossa h24, che deve assumere insulina ogni giorno tramite iniezioni e deve seguire una dieta scrupolosa. Oltre a questo, Anna quotidianamente si allena e vince. Pluricampionessa di atletica leggera (mezzofondo), nella corsa in montagna e nella corsa campestre, ha conquistato una lunga serie di traguardi. Campionessa italiana nei 10.000 metri e record italiano di mezza maratona e nei 10.000 metri U23 nel 2022, l’anno prima era già campionessa italiana assoluta nei 5.000 metri e argento agli Europei U23 sui 10.000.

Quando Anna inizia a correre, il diabete sparisce, d’altra parte il movimento è un mezzo per tenere bassa la glicemia. Dopo la scoperta “ho iniziato improvvisamente a dare più valore alla mia vita – racconta – ma è come se fossi costantemente sottoposta a un giudizio”. In Italia sono 300mila le persone con diabete di tipo 1, una patologia cronica e autoimmune che colpisce in genere in età giovane.

Anna, quando e come hai scoperto di avere il diabete di tipo 1?

“Quando avevo 18 anni. Al tempo correvo già, sarebbe stato molto più difficile iniziare dopo, perché non avrei avuto la consapevolezza di poterlo fare. In quel periodo stavo male, ero dimagrita tanto e avevo tantissima sete. Erano i sintomi classici dell’esordio. Così ho fatto le dovute analisi. Un giorno ero a scuola e mia madre mi ha telefonato per dirmi di tornare a casa perché erano arrivati i risultati degli esami del sangue. Quel giorno ho versato tantissime lacrime e siamo corse subito al pronto soccorso per farmi dare l’insulina. Con la glicemia troppo alta, infatti, correvo il rischio di creare danni seri al fisico”.

Come hai compreso che avresti potuto continuare a correre?

“Grazie a un infermiere, ha saputo dire poche semplici parole che per me sono state fondamentali. Quel giorno io piangevo sul letto di ospedale, come è normale che sia in quella situazione, visto che si tratta di un cambiamento che coinvolge l’intera vita e da cui non si può più tornare indietro. Mi disse: 'Guarda che puoi continuare a correre'. Dopo quelle parole ho smesso di piangere. Per me quello bastava. Mi son detta che se potevo continuare a fare atletica e provare le emozioni che la corsa mi dà, allora potevo continuare a vivere.

L’atletica, infatti, mi ha dato molta forza in quella situazione. Durante la settimana di ricovero pensavo tanto al futuro e a come sarebbe stata la mia vita dopo l’esordio. Però continuavo a ripetermi che in un modo o nell’altro ce l’avrei fatta. Non ho mai avuto un momento in cui ho rifiutato la terapia o in cui non abbia accettato il diabete. Fin dall’inizio ho cercato di capire il funzionamento. Ci sono stati un paio di mesi in cui ho fatto qualche errore, ci è voluto un po’ per assestarmi, soprattutto dal punto di vista sportivo. Ogni diabetico adotta una sua tattica, io ho subito dovuto definire la mia per gestire la glicemia durante gli allenamenti e soprattutto durante le gare. Soprattutto durante le prime, mi capitava che non mi sentissi benissimo come prima. Poi pian piano, facendo prove e tentativi, ho ripreso le mie prestazioni".

Cosa è cambiato dentro di te rispetto a prima?

“La cosa molto bella è come questa scoperta mi abbia fatto dare improvvisante più valore alla mia vita. Nel momento in cui ti accorgi di essere così fragile e che da un momento all’altro tutto ciò che era la tua vita può cambiare completamente, allora le dai più valore. Io ho iniziato a tenere di più a me stessa, a vedere la vita in modo diverso, è diventata molto più preziosa”.

Dopo qualche mese dall’esordio che è stato a marzo del 2018, hai fatto la tua prima presenza in nazionale, a giugno 2018. Ci racconti?

“Erano gli europei di corsa in montagna. La scoperta del diabete mi ha dato questa carica in più, questa voglia di riscatto. Questo ha fatto sì che il mio impegno e la mia forza aumentasse in modo tale da permettermi di migliorare in modo repentino”.

Quanto tempo è passato dai primi sintomi alla scoperta del diabete?

“I sintomi sono evidenti, io continuavo ad avere tanta sete, arrivavo a bere talmente tanto da stare male. Sono comunque stata fortunata, perché l’ho trovato prima di avere delle complicanze. Ci sono infatti dei danni permanenti che il diabete può lasciare se trascurato per lungo tempo. Però si tratta di livelli di trascuratezza decisamente elevati".

Le prossime sfide?

“Mi sto preparando per i 10.000 metri in pista. A breve ci saranno i campionati italiani, dopodiché ci sarà la coppa Europa e siccome i 10mila è la mia distanza preferita spero di migliorare il più possibile, in ottica anche delle olimpiadi del 2024”.

Cosa impatta di più sulla tua vita dal punto di vista pratico?

“Il diabete disturba molto il sonno. Ormai il mio fisico si è abituato ad avere continui risvegli notturni e ad essere costantemente allerta. Quindi dormo sempre male e poco. Un’altra cosa è che sono sempre quasi in uno stato di tensione, perché in qualsiasi momento la glicemia può sfuggire, quindi è aumentato il fattore dello stress”.

E durante gli allenamenti?

“Una cosa che mi piace molto dell’atletica, del mio sport, è il fatto che quando metto le scarpe da corsa, allora posso davvero smettere di pensare al diabete. Perché fortunatamente i problemi di ipoglicemie non mi toccano mai, quindi la corsa mi aiuta molto a tenere la glicemia stabile. Lo sport aerobico, fa sì che si abbassi, quindi io so che nel momento in cui corro i problemi di glicemia alta vengono meno. Infatti un lavoro che stiamo facendo, insieme al mio allenatore, è pensare come se io non fossi diabetica. Io non ho scuse per fare di meno, non utilizzo il diabete come una scusante, ma so che devo fare di più. Durante gli allenamenti posso davvero permettermi di non pensarci, quelle due ore per me sono fondamentali”.

Ci sono dei momenti più difficili?

“Ogni volta che leggo una glicemia sbagliata, quindi da correggere, ci rimango molto male. È come essere costantemente soggetti ad un giudizio. Ogni singolo secondo è come se ci fosse un numero che mi dà un voto e quando leggo un valore errato mi butto giù e questo potenzialmente può accadere tutti i giorni. Quindi se non ci fossero dei momenti nei quali posso non pensarci, sarebbe molto più difficile”.

Il diabete non ha mai ostacolato la tua corsa, lo fa invece una legge del 1933 che preclude l'ingresso nei gruppi sportivi militari alle atlete e agli atleti colpiti da questa malattia.

“Quando ho scoperto questa clausola sul diabete, dopo una prima demoralizzazione, ho sentito che era importante parlare di questa problematica e trovare una soluzione. Il rischio è che da questa situazione, infatti, possa passare un messaggio scorretto, cioè che la persona con diabete non possa fare sport, ed è invece il contrario: sarebbe bene che lo facesse.

Va lanciato un messaggio di speranza, affinché le persone con diabete, anche quelle che non aspirano a diventare atleti professionisti, non rinuncino a praticare attività sportiva”.

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