Politica

Bombe carta e feriti per liberare i clandestini

da Bologna

L’epilogo si consuma a colpi di manganello a cento metri dal Centro di permanenza temporanea per clandestini di via Mattei, periferia est di Bologna. La prima linea del corteo nazionale dei centri sociali, protetta a testuggine da pannelli di compensato e plexiglas, i volti coperti da fazzoletti e passamontagna, forza la zona rossa imposta dalla Questura. Sulle protezioni con cui si fanno scudo i duri c’è lo slogan della manifestazione: «Chiudere tutti i Cpt. Governo Prodi, giunta Cofferati, vergogna». La polizia e i carabinieri rispondono caricando.
I manifestanti lanciano bombe carta, pietre e bottiglie di vetro ma vengono spinti indietro per un centinaio di metri. Poi agenti e manifestanti restano a fronteggiarsi per almeno un’ora, fino a quando il corteo si scioglie. Non prima, però, di un’altra azione dimostrativa: protetti dai fumogeni rossi e armati di martelli pneumatici, alcuni giovani piantano in mezzo a via Mattei, arteria di grande traffico della città, tre cartelli con scritto «Pericolo Cpt», «Basta lager» e «Attenzione lager a 200 metri». Alla fine dello scontro il bilancio è di cinque giovani identificati, ma subito rilasciati, e di cinque feriti, tutti tra i manifestanti. Ci sono anche due ragazze, che sanguinano vistosamente alla testa e si lamentano cercando di sfilarsi dal parapiglia. Il divieto della Questura di Bologna era stato netto fin dall’inizio: vietato spingersi davanti al Cpt. E fino all’ultimo la Digos, guidata dal vicequestore Vincenzo Ciarambino, ha tentato di mediare, proponendo a una folta delegazione di appendere uno striscione alla struttura. Nulla da fare, però.
I centri sociali, arrivati in città nel primo pomeriggio su treni e pullman da Milano, dal Veneto, da Firenze, dalle Marche e dal resto dell'Emilia, avevano qualcosa da dimostrare: «Con questa manifestazione si apre una fase nuova - annuncia Luca Casarini, leader storico dei Disobbedienti veneti - è finita la gestione creativa di lotta e di governo per quei partiti che per stare al potere si sono rimangiati quello che facevan fino a due anni fa».
Il riferimento è a Rifondazione comunista, ma pure a Verdi e Comunisti italiani, che per la prima volta non hanno aderito alla manifestazione contro i Cpt. «Meglio così per noi. Li hanno richiamati all’ordine - ironizza Casarini - è finita la farsa». Poi avverte che la rottura non si ricomporrà facilmente: «Prima di tornare a manifestare dovranno spiegare molte cose. È una vergogna avere costruito una fortuna elettorale sfilando contro la guerra e contro i Cpt e poi preferire il potere invece di cambiare le cose». Il movimento antagonista sancisce così l’addio ai partiti della sinistra radicale.
Il corteo, oltre cinquemila persone (per gli organizzatori diecimila), è partito a metà pomeriggio dal cuore di Bologna, piazza Maggiore, e ha sfilato per cinque chilometri fino a via Mattei. Gli slogan erano tutti contro il governo Prodi, accusato di avere tradito le promesse elettorali sul destino dei Cpt, il disegno di legge Amato-Ferrero sull’immigrazione, che non abolirà la detenzione amministrativa dei clandestini, e Sergio Cofferati, «sindaco di destra». La manifestazione è passata a qualche centinaio di metri dalla casa di Romano Prodi, letteralmente blindata da ben undici mezzi della polizia e da un cordone di agenti in tenuta antisommossa. Prima di partire, invece, due «guastatori» erano riusciti a intrufolarsi nel palazzo del Comune e ad appendere a due finestre un lungo striscione con la scritta «A qui estamos». Sotto, in piazza, solo giovani dei centri sociali e le bandiere dei sindacati di base. Nessun poltico nazionale, come il sottosegretario dei Verdi Paolo Cento che in passato non era mai mancato, e pochissimi quelli locali, tra cui il consigliere comunale e movimentista del Prc Valerio Monteventi, reduce dal gran rifiuto al sindaco Cofferati di un posto nella sua giunta: «Sono qui perché la ritengo una battaglia sacrosanta che porto avanti fin dal 1999». C’era, invece, Oreste Scalzone, l’ex leader di Potere operaio appena rientrato in Italia dopo una lunga latitanza in Francia: «Cofferati? Mi ricorda Lama, che quando si presentò venne respinto come era giusto - spiega -.

È passato da sindacalista e contestatore a rappresentante dell’ordine e mi sembra piuttosto squallido».

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