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Bonino, la radicale libera che usa il Pd come un autobus

Dalle lotte per i dirittial diritto di poltrona, la leader sfrutta i Democratici come un autobus. E corre con loro per non sparire

Bonino, la radicale libera  
che usa il Pd come un autobus

Da due anni, da quando è nato il Pd, i radicali lo infinocchiano e lo utilizzano a proprio vantaggio. Non resta che ammirare l’astuzia del duo Bonino-Pannella e stupire per la pochezza del terzetto Veltroni, Franceschini e Bersani che lo ha fin qui governato.

La candidatura di Emma Bonino a governatore del Lazio ha i contorni del capolavoro. Visto che il Pd tergiversava nel trovare il suo uomo per le elezioni regionali di marzo, Emma ha tagliato corto e si è presentata lei. Con callida modestia non lo ha fatto a nome della sinistra ma dei soli Radicali con la cosiddetta Lista Pannella-Bonino. Sapeva però perfettamente che avrebbe scompigliato i giochi del Pd.
Da tre giorni, la sinistra è nel bailamme. La teodem Binetti minaccia di abbandonare il Pd se Bonino sarà la candidata di tutto il centrosinistra. Di Pietro nicchia, i cattolici adulti tipo Bindi e compagnia tacciono. I Verdi hanno già detto sì all’esponente radicale. Gli ex comunisti potrebbero accodarsi. Bersani, disperato di ritrovarsi alle prese con i soliti sinistri, è a caccia di un aspirante più congeniale ma non lo trova. Il partito è alla frutta. Il neosegretario in crisi nera all’inizio del mandato.

Conclusione: è più che probabile che Emma sia, obtorto collo, la candidata ufficiale del Pd. Sarà lei a contendere il Lazio a Renata Polverini, il campione del Pdl. A dare manforte alla Bonino è già arrivato un provvidenziale sondaggista. Secondo Luigi Crespi, infatti, contrapposta alla sola Polverini, Bonino vince col 51 per cento dei voti contro i 49 dell’avversaria. In queste condizioni, se Bersani non vuole suicidarsi dovrà fare buon viso e accettare l’astuta Emma come candidata comune del centrosinistra. Si profila il classico cappotto del Pr sul Pd.
È da quando hanno stretto la prima alleanza con Veltroni che Bonino-Pannella tengono la sinistra in ostaggio. Il patto fu stilato alla vigilia delle Politiche 2008. I Radicali pretesero allora nove seggi sicuri in Parlamento. Walter accettò ma cercò poi di rimangiarsi la promessa concedendone sei. Gli andò male. Bonino se ne accorse e fece il diavolo a quattro. Convocò una conferenza stampa in cui dette dell’inaffidabile a Veltroni e minacciò sfracelli. Disse che non si sarebbe candidata - o tutti o nessuno - e che avrebbe mandato tutto all’aria. Vestì il ruolo dell’amazzone dura mentre Pannella scuoteva la testa bianca, annuendo. In questi ultimi anni, infatti, nel gioco delle parti con Marco, è Emma che si sbraccia di più dando la sensazione di tenere lei in mano il boccino radicale. Non è così. È sempre il vecchio a comandare e ideare le strategie. Solo che, alle soglie degli ottant’anni, Marco risparmia le forze. Emma che invece, con i suoi 62 ancora da compiere, ne ha da vendere, si mette in prima linea riservandosi i compiti più faticosi: richiami all’ordine, comparse in tv, strepiti vari.

Veltroni comunque - per tornare ai nove seggi ridotti a sei - fece orecchie da mercante alle proteste di Bonino. Fu allora che scese nell’arena Pannella piantando la grana delle grane: uno sciopero della sete. È, con i digiuni, la specialità di Marco da decenni. Ma mentre in passato faceva il Gandhi per grandi ideali, dall’abolizione della pena di morte alla salvezza del mondo, usa adesso le stesse armi per le tre poltroncine mancanti. Ammantando però il tutto di voli pindarici. Nell’occasione disse: «Il rispetto della parola è il fondamento della legge. Faremo perciò le battaglie che abbiamo sempre fatto in difesa dell’onestà, la trasparenza e la povertà che abbiamo sempre praticato contro l’arroganza dei troppo ricchi e dei padroni». Un vero spreco di retorica per tre strapuntini. I giornalisti gli fecero notare l’esagerazione e Marco, cambiando registro, concluse terra terra: «Il Pd stia attento, su questa questione non ci fottete». Walter capì che era un osso duro, recepì il messaggio e il Pr ebbe tutti e nove i seggi pattuiti.

Il vizio radicale di rivestire con concioni sublimi una modesta caccia alle poltrone si è manifestato anche per il governatorato laziale. Scendendo nella lizza, Emma ha detto: «La mia candidatura è un’alternativa per i cittadini che credono nello Stato di diritto e nella legalità nel nostro Paese. Rappresento la dignità della politica contro lo sfascio del regime partitocratico». Resta un mistero per quale ragione se si presenta lei si salvaguarda questa caterva di valori e se invece a candidarsi è un altro signore tutto questo bendidio è travolto e calpestato. Azzardo una risposta: Emma e i pannelliani soffrono di egotismo e si considerano l’ombelico del mondo. Una verità va comunque riconosciuta: i Radicali non puntano alle poltrone per amore delle stesse. Non cercano un pennacchio ma vogliono realizzare cambiamenti. Bonino, che nei suoi passati incarichi lo ha sempre dimostrato, assomiglia in questo al Cav. Anche di lui tutto si può dire salvo che salga sul trono per starsene con le mani in mano. E qui, tocchiamo un punto dolente.

Emma e i Radicali sono passati al Pd non per affinità ideologica ma per non scomparire. Per dieci anni, sia pure in modo conflittuale, sono stati con il centrodestra. Gusto della libertà e liberismo economico li rendevano affini. Il Berlusca e i suoi però li hanno presi a pedate. Conflitti interni, incomprensioni, l’antipatia che gli dimostrava il cattolico Pierferdy Casini (alleato all’epoca del Cav) li hanno messi in un angolo. È per questo che, contro la loro natura, si sono incistati nel centrosinistra. Era il ventre molle del Palazzo in cui, con furbizia e sapienti capricci, hanno potuto sopravvivere. Il salto della quaglia avvenne nel 2006 col governo Prodi. Fu una scelta obbligata. Non c’era né amore né stima. Appena un anno prima, Bonino, allora europarlamentare, disse di Romano che presiedeva la Commissione Ue: «Ha il cervello piatto». Ma Prodi ci passò sopra e la fece ministro.
Così è nato il pasticcio. La destra ha perso un alleato con cui poteva convivere.

La sinistra ne ha preso uno che la spolpa.

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