Economia

Braccio di ferro tra Edf e A2A sul futuro di Edison

Obiettivo dei soci italiani: ridimensionare il peso di Quadrino (e dei francesi) Parigi per ora tace, ma fa muro

da Milano

La partita per la revisione del patto di sindacato di Edison ha ancora tre mesi davanti (la scadenza è, infatti, a marzo), ma la battaglia per un migliore posizionamento in vista della volata finale, iniziata appena dopo le ferie, sembra destinata a non esaurirsi tanto presto. Alla vigilia di Natale, fonti attendibili sostenevano che il numero uno di A2A (il gruppo nato dalla fusione di Aem Milano e Asm Brescia) e presidente di Edison, Giuliano Zuccoli, era destinato ad assumere la carica di ad di Foro Buonaparte.
Notizia clamorosa, se vera, ma che è stata smentita con l’arrivo della Befana. E proprio alla vigilia del 6 gennaio ne è uscita un’altra: a correre per una «posizione importante» in Edison ora sarebbero più di uno. In testa Renato Ravanelli (ex cfo Edison e responsabile finanziario Aem) ed Ennio Tomasoni (direttore generale di Asm Brescia). Il tutto con un obiettivo: ridimensionare il peso dell’attuale amministratore delegato Umberto Quadrino, considerato dal gruppo lombardo la «longa manus» dei francesi. E, a cascata, un secondo obiettivo: dare ad A2A, all’interno di Edison, le redini (o un peso determinante) del futuro sviluppo del nucleare in Italia. Su questo fronte Zuccoli è molto attivo e ha programmato un viaggio in Finlandia dove è in costruzione una centrale nucleare di nuova generazione, in grado di produrre una quantità di scorie molto più limitata rispetto a quella attuale.
In questa situazione il silenzio di Edf è assordante. Il gruppo francese, che tra la quota detenuta in Transalpina e quella posseduta direttamente ha più del 50% di Foro Buonaparte, si è finora trincerato nel riserbo più totale. Dopo la quasi totale conversione dei warrant, Transalpina (controllata pariteticamente da francesi e italiani) ha oggi il 61,3% di Edison, Edf da parte sua ha direttamente il 19,4%, il finanziere Romain Zaleski il 10%, e infine resta un modesto 9,3% di flottante. Nessuno dei due azionisti di controllo dovrebbe avere un reale interesse ad arrivare allo scontro. Edf, paga della sua posizione, tenderebbe a mantenerla. Gli italiani, raggruppati in Delmi e capeggiati da A2A, difficilmente avrebbero la forza finanziaria di andare all’asta che è prevista in caso di disaccordo sul rinnovo del patto.
In autunno si era ripetutamente parlato di una possibile spartizione: una soluzione seccamente rifiutata dai francesi, che in Edison hanno già investito sette miliardi. E che, soprattutto, hanno più volte dichiarato di essere interessati in primo luogo al gas (al punto da fare di Edison il proprio braccio nel metano), settore però considerato strategico anche da A2A. Una situazione di stallo destinata a sbloccarsi con un accordo dopo tanti clamori di guerra, pena il probabile ricorso all’asta: un’Opa da parte di Edf costerebbe non meno di 5,5 miliardi, con la possibilità non remota di raddoppiare l’esborso finora sostenuto per Edison.

Ma per Delmi, che ha solo circa il 30%, la spesa sarebbe ben maggiore.

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