Calcio

Arresti, corruzione e club vicini al crack: cosa succede nel calcio cinese

Un altro caso scuote il calcio cinese. Il capo della federcalcio, Chen Shuyan, è stato arrestato con l'accusa di corruzione

Arresti, corruzione e club vicini al crack: cosa succede nel calcio cinese
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Il calcio cinese è sempre più nel caos. Il capo della federcalcio cinese, Chen Shuyan, è stato arrestato con l'accusa di corruzione. Lo rende noto l'organo di vigilanza del Partito Comunista cinese. Il massimo dirigente è stato posto sotto inchiesta dagli organi sportivi nazionali e provinciali dell'Hubei. Non sono stati forniti dettagli sulle accuse nei confronti di Chen, l'uomo che qualche anno fa presentava direttamente al presidente Xi Jinping i suoi grandiosi piani per riformare il calcio nazionale e renderlo grande.

Il caso

Dopo mesi di indagini che hanno portato a novembre pure all'arresto dell'ex ct della nazionale, Li Tie, ora si è arrivati in cima alla piramide. Per "gravi violazioni della legge e della disciplina" (tradotto: per corruzione), è finito sotto inchiesta Chen Xuyuan, il numero uno della Cfa, la Federcalcio cinese. Il 66enne Chen è il quarto alto dirigente a finire sotto inchiesta negli ultimi quattro mesi. Prima di lui era toccato a Liu Yi, ex segretario generale della Cfa, al suo vice Chen Yongliang. Negli ultimi quattordici anni decine di funzionari, allenatori e arbitri sono stati puniti per partite truccate e tangenti. Due mesi fa alcuni membri di alto livello della più grande scuola calcio del Paese sono stati condannati all'interdizione a vita a seguito di alcune clamorose combine in una partita a Canton tra ragazzini di 15 anni.

Dalle spese folli al declino

Sono passati pochi anni dai grandi colpi di mercato, dal tentativo di rivaleggiare col calcio europeo, ma gli errori di programmazione e la pandemia hanno cancellato ogni cosa. Nel 2019 militavano in Cina giocatori importanti come: Ezequiel Lavezzi, Graziano Pellè, Yannick Carrasco, Alex Teixeira, Javier Mascherano, Renato Augusto e Paulinho. Adesso quelle stelle sono un lontano ricordo, siamo praticamente all'anno zero della Chinese Super League.

In guai seri si trova il Guangzhou Evergrande, visti i debiti della società immobiliare che lo controlla, e che ha chiesto aiuto al governo provinciale del Guangdong. Negli ultimi dieci anni Evergrande non aveva badato a spese per mettere in piedi una squadra che fosse in grado di vincere in casa e all'estero. Qui sono passati il centrocampista argentino Dario Conca (ingaggio da 10,6 milioni di euro a stagione), Marcello Lippi (ingaggio da 20 milioni di euro in due anni e mezzo), altri italiani come Alessandro Diamanti e Alberto Gilardino, fino all'ex tecnico, Fabio Cannavaro.

Il rischio è quello di fare la fine del Jiangsu, la squadra campione di Cina di proprietà di Zhang Jindong, il patron di Suning, lo stesso dell'Inter. Quattro mesi dopo aver vinto il primo scudetto, a febbraio del 2021 l'azienda ha chiuso il club. Dalla sera alla mattina, ha semplicemente smesso di esistere. Il motivo? Non c'erano più soldi. Anche il Jiangsu per anni aveva sperperato per campagne acquisti faraoniche: strappando alla concorrenza dei club europei due brasiliani: il centrocampista Ramires (32 milioni al Chelsea), e l'attaccante Alex Texeira (50 milioni allo Shakthar Donetsk).

Il piano "fallito" di Xi Jinping

Il sogno che diventa incubo. In Cina il pallone sembra essersi letteralmente sgonfiato, così come il grande progetto calcistico avviato da Xi Jinping nel 2012 a suon di ingenti investimenti. Attraverso lo strumento del calcio, Pechino avrebbe raggiunto almeno due importanti obbiettivi. Innanzitutto, una Cina dominante non solo nell’economia e nella geopolitica, ma anche nel gioco del calcio, avrebbe consentito al Partito comunista cinese di incamerare enormi riserve di soft power da spendere in altri tavoli. Ma non solo le grandi aziende statali sarebbero inoltre riuscite dovunque, pure in Occidente, grazie ad altri investimenti mirati. Dopo un inizio scoppiettante, il progetto si è arenato in un nulla di fatto. L'inizio della pandemia ha probabilmente sancito la parola fine al progetto iniziale.

Per capire le ragioni del fallimento bisogna considerare che in Cina, qualsiasi investimento o flusso di denaro ingente, segue i diktat della politica. Finché dal Partito, e dagli organi istituzionali connessi, l’ordine impartito era quello di investire nel pallone, i più grandi magnati del Paese, come gli sviluppatori immobiliari Wang Jianlin di Wanda Group e Xu Jiayin di Evergrande Group, hanno messo sul tavolo milioni e milioni di dollari. Per rafforzare i club locali da loro controllati, acquistare fuoriclasse di fama globale e pure chiudere operazioni in Europa. Ma una volta che il governo ha deciso di chiudere i rubinetti, limitando i folli investimenti delle aziende, la situazione è cambiata radicalmente.

Xi voleva che il calcio cinese accompagnasse l’ascesa del Dragone, non che le aziende sperperassero soldi al vento. Al netto dei numerosi problemi sistemici (corruzione e investimenti a vuoto su tutti), la road map calcistica di Pechino possedeva un’enorme criticità. Per sviluppare il movimento calcistico, ha utilizzato gli stessi mezzi adottati per far sbocciare le multinazionali cinesi: attingere alle competenze straniere in una fase iniziale, salvo poi sostituirle in divenire con competenze cinesi. Il calcio non segue però le stesse regole dell’universo aziendale. E quando il Dragone ha capito che un’organizzazione a breve termine non avrebbe portato da nessuna parte, non ha potuto far altro che fermarsi.

Senza voltarsi indietro.

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