Mondo nel pallone

Trent'anni di "modello Milan": dirigenti, allenatori, atleti uniti come una famiglia

Il Milan targato Berlusconi oltre i campioni è stato innanzitutto una somma di uomini e un modello organizzativo. Capace di far scuola e di far sentire i talenti rossoneri a casa

I giocatori del Milan festeggiano dopo la vittoria della Champions League 2002-2003
I giocatori del Milan festeggiano dopo la vittoria della Champions League 2002-2003

Silvio Berlusconi ha lasciato, da presidente e proprietaro del Milan, un ricordo importante che si è sostanziato nella conquista di 29 trofei in 31 anni di leadership al club rossonero. Ma parlare di allori e di vittorie parla solo di una parte della medaglia e, nelle ore successive alla morte del Cavaliere, è già stato ampiamente narrato dalla stampa l'epopea calcistica del Cavaliere rossonero. Su queste colonne Paolo Lazzari ha dato un resoconto completo e articolato della corsa del Milan berlusconiano dal 1986 al 2017.

Il "modello Milan"

C'è un Berlusconi milanista e un Milan berlusconiano che però è durato a prescindere dai risultati sul campo. E anzi, forse, si è manifestato con più attenzione nei momenti di declino e difficoltà: parliamo del modello Milan. Del club rossonero di proprietà di Berlusconi come "grande famiglia" inclusiva e capace di far sentire a casa campioni e giocatori di livello più modesto. L'immagine che viene immediatamente in mente è quella del 13 maggio 2012, al termine della partita vinta dai rossoneri col Novara per 2-1. Ultima giornata di campionato, ininfluente per un team già staccato dalla Juventus vincitrice del campionato nell'anno del caso del celebre "gol di Muntari", ma decisiva per il portato storico per il club rossonero.

Quel giorno salutano il Milan molti "senatori". Zlatan Ibrahimovic, che sarebbe poi tornato otto anni dopo, e Thiago Silva lasciano per il Paris Saint Germain dopo esser stati i protagonisti dello scudetto del 2011; Filippo Inzaghi dà l'addio al calcio; Alessandro Nesta, Mark van Bommel, Clarence Seedorf, Gianluca Zambrotta e Gennaro Gattuso si apprestano agli ultimi scampoli delle loro carriere dopo l'ultima partita in rossonero. Quel giorno si ebbe l'apoteosi del modello rossonero.

Salutarono da grandi "milanisti" non solo i protagonisti di un decennio, ma anche giocatori che avevano vestito - da protagonisti - la maglia del club solo per due stagioni, come "Ibra" e van Bommel, e si avviò l'ultima fase - la più mesta - dell'era berlusconiana. In cui però non sarebbe mai venuto meno lo stimolo inclusivo del "modello Milan". Tanto che Seedorf e Inzaghi furono, tra il 2014 e il 2015, scelti come allenatori in tutt'altro che fortunate esperienze nell'ultimo tentativo di revival dell'assunto del "Milan ai milanisti" che fu una costante dell'era del Cavaliere.

Gli uomini chiave della Milano rossonera: il caso-Tassotti

Ma oltre a Berlusconi, a Adriano Galliani e allo stratega Ariedo Braida, oltre ai grandi allenatori come Arrigo Sacchi, Fabio Capello e Carlo Ancelotti, ci fu un sistema-Milan fatto di uomini-ombra, luoghi e rituali che rappresentò la spina dorsale del club rossonero per oltre un trentennio. Il Milan seppe innovare sul metodo d'allenamento e i servizi ai calciatori.

Non si può negare ad esempio che un uomo chiave dello spogliatoio del Milan sia stato, assieme ai grandi dirigenti, Mauro Tassotti. Protagonista sul campo da membro della difesa degli "Invincibili" e degli "Immortali" prima, pivot della panchina da vice-allenatore per ben tredici anni dal 2002 al 2015. Custode dei rapporti tra gli allenatori (Ancelotti, Leonardo, Massimiliano Allegri, Seedorf e Inzaghi) e i calciatori che andavano e venivano, del metodo d'allenamento, della creazione del gruppo.

In parallelo, nei decenni vissuti da Tassotti come giocatore (1980-1997) prima e allenatore poi almeno altre tre personalità hanno rappresentato figure professionali di primo piano, protagonisti dell'innovazione sportiva del Milan e custodi dello spogliatoio.

Pincolini, Tognaccini, Vecchi: i preparatori dei campioni

Il primo fu Vincenzo Pincolini, "sergente" del team di Sacchi e precursore dei preparatori atletici. Pincolini, ha scritto MowMag, ha portato la preparazione atletica "sotto la guida di quello che inizialmente fu definito “il matto” e poi “il Profeta” di Fusignano e cioè Arrigo Sacchi – a diventare una pratica sportiva a tutto tondo, con analisi delle prestazioni, allenamenti specifici ed esercizi differenziati". Al Milan dal 1987 al 1997, ha plasmato i campioni di Sacchi e Capello che misero a terra il "bel giuoco" amato dal Cavaliere con i "suoi programmi di allenamento, che presero spunto dalle pratiche dell’atletica leggera", sotto la cui influenza "sono passate almeno tre generazioni di calciatori, fino alle giovanissime promesse di domani" da oggi seguite da Pincolini nelle nazionali giovanili italiane.

Un vero e proprio precursore dell'innovazione tecnico-atletica a cui, l'anno dopo, subentrò nel ruolo di preparatore per eccellenza Daniele Tognaccini. Non come membro dello staff sportivo diretto, ma bensì come dominus di Milan Lab, la struttura fondata nel 2002 al centro sportivo di Milanello per gestire la raccolta dati sui calciatori divisi nella valutazione dei parametri fisici in tre aree, strutturale, biochimica e mentale". In quest'ottica Milan Lab forniva alle equipe mediche consigli per piani di allenamento e preparazione personalizzata e ad personam. "In vent’anni abbiamo raccolto 2 milioni di dati tanto che Microsoft, nostro partner, ha dichiarato che Milan Lab rappresenta il database più importante al mondo a livello sportivo", sottolineava Tognaccini nel 2018, all'addio al Milan, parlando col Corriere della Sera e sottolineando che "gli anni d’oro sono stati quelli di Ancelotti. Abbiamo disputato tre finali di Champions, abbiamo avuto due Palloni d’oro, abbiamo consentito ad atleti come Maldini, Costacurta, Inzaghi di chiudere la carriera a ridosso dei 40 anni".

Gli strateghi del Milan

Anche Milan Lab fu parte della "famiglia Milan" perché consentì a generazioni di giocatori rossoneri di avere piani di allenamento personalizzati e un'attenzione inclusiva allo sviluppo tecnico e tattico che ha fatto scuola. Così come i portieri ebbero sempre un "guardiano" in un grande ex della storia rossonera, Villiam Vecchi, scomparso lo scorso anno, guardiano dei pali del Milan negli Anni Sessanta e Settanta e poi messo da Carlo Ancelotti a guidare i titolari della porta milanista dal 2001 al 2010. Fu Vecchi a "creare" in particolare l'eroe della finale di Manchester vinta contro la Juventus nel 2003 ai rigori, il brasiliano Dida, per pochi anni indicato dalla cronaca tra i migliori portieri al mondo.

Sul lato tecnico, questi i protagonisti silenziosi dell'epopea berlusconiana. A cui si possono aggiungere, non secondi per importanza, due dirigenti che hanno fatto da guardia al trio Galliani-Berlusconi-Braida: Umberto Gandini, ex manager Fininvest messo a capo dell'area organizzzativa, e il silenzioso coordinatore sportivo Silvano Ramaccioni, artefice del Perugia dei miracoli che chiuse secondo nel 1979 e unico manager pre-Berlusconi a durare per decenni. Entrato nel club rossonero nel 1982, vi rimase fino al 2008, coordinando i rapporti tra Galliani e Braida da un lato e gli osservatori, i talent scout e i settori giovanili dall'altro.

La storia del club rossonero targato Berlusconi è dunque innanzitutto una grande storia di uomini. Uomini, spesso nell'ombra, che hanno contribuito a costruire la grande famiglia rossonera per cinque volte giunta in cima all'Europa nell'era Berlusconi. E fatto innamorare campioni e talenti di un club che a sua volta ha incantato il mondo e rivoluzionato lo sport.

Segnando, inesorabilmente, la storia dello sport più popolare al mondo.

Commenti