Calcio

Dopo il silenzio violenza e rancore

In principio era il silenzio. Tre minuti per commemorare i morti della Grande Guerra

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In principio era il silenzio. Tre minuti per commemorare i morti della Grande Guerra. Fu Giorgio V, re di Gran Bretagna e Imperatore d'India, a firmare, nel 1919, un proclama «per la sospensione completa di qualunque attività», una pausa della durata di 3 minuti, poi ridotti a 2, decisione adottata anche da Francia e Belgio e, in seguito, da altri Paesi. Lo sport mutuò quel rito non religioso ma di rispetto e riflessione, il calcio lo ha trasformato in una forma di spettacolo, gli applausi ne completano la cerimonia, come se durante un funerale o una sepoltura, i partecipanti si unissero al dolore battendo festosamente le mani (accade spesso all'uscita del feretro dalle chiese). Ieri il calcio ha onorato le vittime delle guerre e i morti dell'alluvione con il consueto rito del minuto di silenzio. Concetto Lo Bello, grandissimo arbitro, sosteneva che 60 secondi fossero troppi, lui li riduceva a 30, sufficienti per il ricordo e il raccoglimento. Le squadre si radunano a centrocampo, l'arbitro soffia nel fischietto, il silenzio dura i secondi necessari ad inquadrare volti contriti, labbra che recitano versi di preghiera, si odono i primi applausi, poi voci urlanti, l'arbitro fischia di nuovo, si può giocare, allora ricomincia la guerra, tornano il devi morire, l'insulto, l'aggressione. Novanta minuti per cancellare 60 secondi.

Al prossimo silenzio.

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