Politica

«Il Canal Grande scippato a Venezia» Giallo Serenissimo

Togliere il Canal Grande a Venezia è un po’ come togliere Totti alla Roma. Si dirà: Ranieri col «pupone» ci ha già provato; esattamente come ieri il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, ci ha provato con il luogo-simbolo della Serenissima (salvo poi smentire tutto in serata). Insomma, si è trattato - lo diciamo scherzosamente - di una «calderolata». I giornali veneti avevano già titolato in prima pagina: «Venezia perde il suo Canal Grande: la gestione passa allo Stato». Ma era solo un bluff; tutto «merito» del ministro per la Semplificazione che - almeno in questo caso - le cose sembra averle complicate. L’equivoco nasce dal decreto «ammazzanorme» che ha (avrebbe) eliminato anche il decreto regio del 1904 con cui venne concessa al Comune l’autorità sulla cintura d’acqua che circonda Venezia.
Tanto è bastato per montare un caso che poi lo stesso Calderoli si è affrettato a smontare: «Intendo tranquillizzare gli amici veneziani. Le notizie diffuse nelle ultime ore non trovano alcun fondamento normativo. Il Canal Grande è e resta dei cittadini di Venezia e del suo Comune». La spiegazione tecnico-giuridica ha il sapore dell’arrampicata sugli specchi: «Il regio decreto 523 del 1904, in materia di opere idrauliche ha natura giuridica di testo unico e quindi, come tale, è espressamente escluso da abrogazione ai sensi dell’articolo 14 comma 17 della legge 246 del 2005». Urge traduzione: una norma di grado giuridico inferiore (il decreto) non può annullare una norma giuridica di grado superiore (il testo unico). E allora perché tutto questo can can?
Fatto sta che, ormai in zona Cesarini, Calderoli ha dovuto chiamare il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, per tranquillizzarlo: «Ho ricevuto la telefonata del ministro per la Semplificazione normativa - racconta Orsoni - il quale gentilmente mi ha confermato che non c’è stata alcuna abrogazione della convenzione in essere. Il Canal Grande, dunque, è ancora nella disponibilità dell’amministrazione veneziana. Si è trattato di un equivoco interpretativo che il ministro ha provveduto a chiarire».
Ma non è dello stesso avviso l’assessore comunale di Venezia alla mobilità, Ugo Bergamo: «Ribadisco che il regio decreto del 1904 è stato abrogato ma prendo atto con favore che non c’era e non c’è la volontà di sottrarre al Comune di Venezia la competenza sul Canal Grande». Come dire, il giallo resta. E infatti sul web il «dibattito» prosegue che è un piacere: «Questa è l’ennesima prepotenza di Roma ladrona. Voglio proprio vedere come la Capitale saprà gestire i tanti problemi che affliggono il canale più visitato al mondo», denuncia un veneziano che si firma «Serenissimo doc».
A onor del vero, non è che con l’attuale gestione comunale il Canal Grande viva una stagione felice, anzi esattamente il contrario. Basta prendere un vaporetto che dalla stazione ferroviaria porta a piazza San Marco per rendersene conto: traffico di imbarcazioni caotico, tanta spazzatura che galleggia a pelo d’acqua, banchine di attracco obsolete, indicazioni turistiche insufficienti ecc.
Per chiudere la polemica, nessuno meglio di un veneziano celebre come il regista Tito Brass: «Togliere il Canal Grande a Venezia sarebbe stato come togliere una bella moglie al marito». E Tinto di donne (e che donne...) se ne intende alla grande.

Anzi, alla Canal Grande.

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