Economia

Casella, un rivoluzionario in tutte le salse

È il re delle salse made in Italy. Anzi, Pietro Casella è in Europa il numero uno per la gamma delle salse realizzate dalla sua azienda situata alla periferia di Piacenza. Più di ottanta prodotti con i marchi Gaia e Biffi, dai vari tipi di pesto assortiti ai sughi freschi per la pasta fino alle mostardine per formaggi. Ed è il maggiore produttore italiano di maionese e salse a base di maionese. Ma è anche leader nel food service per il catering, soprattutto è quello che per primo ha realizzato il formaggino in tubetti o la maionese spray, il pesto crudo che si conserva per dieci mesi senza trattamenti termici, i sughi freschi allo scoglio e all’astice, paté di varia natura. Inventandosi spesso anche packaging molto innovativi. Così vince l’Oscar europeo per l’imballaggio confezionando la maionese in salsiere di plastica quando viene ancora utilizzato il vetro. Per il ketchup e la senape s’inventa un flacone di plastica che sta in piedi solamente quando è capovolto, e cioè dalla parte del tappo, per evitare che si formi all'interno dell’aria che potrebbe alterarne i sapori. E vince un altro Oscar quando mette in commercio il pesto in vasetti di vetro chiusi con una capsula simile a quella utilizzata per lo yogurt e cioè un semplice foglio di alluminio. Insomma, è quasi un genio. E lo sa. Al punto da definirsi «un ricercatore geniale».
I polli. A dire il vero Pietro Casella ha l’innovazione nel Dna. A 12 anni, rispondendo ad un annuncio sulla Settimana Enigmistica, confeziona l’inchiostro per una ditta di Genova che gli manda a casa i vasetti, la polvere e i tappi. Più tardi mette in piedi in uno scantinato uno dei primi allevamenti di polli: da studente di zootecnia impara che lo sviluppo dell'animale è tanto maggiore quanto minore è lo spazio di movimento. Pertanto si costruisce le gabbie ma le fa troppo basse per cui le galline hanno le zampe storte e sul mercato sono conosciute come «le cowboy». Ed un’altra volta realizza un allevamento di porcellini d’India destinati all’ospedale. Casella è in sostanza il tipo frenetico che non riesce a stare con le mani in mano: una ne pensa e mille ne fa. Del resto è un po’ così anche in famiglia: il nonno materno viene premiato da Vittorio Emanuele per avere inventato un morso particolare per i cavalli in modo da non rovinare le labbra; il nonno paterno, ex podestà, parla quasi sempre in latino; ed un fratello del nonno scopre un marchingegno per industrializzare la produzione di spazzole di radica. Ma è soprattutto nonna Adelaide a spingerlo sulla strada della curiosità continua: ha un negozio in cui vende di tutto, dal tabacco agli alimentari e alla ferramenta. E lui è sempre lì con lei già ai tempi delle elementari. Racconta: «Mi ha insegnato tante cose. In particolare questo concetto: se vuoi fare i soldi, non amarli troppo».
All’Unilever. Classe 1936, originario di Gossolengo, provincia di Piacenza, il padre agente del Consorzio agrario ma titolare anche di vari negozi, dalla drogheria alla profumeria, Pietro Casella è il secondo di cinque fratelli. Si diploma perito agrario al Ranieri di Piacenza, si laurea quindi in agraria alla Cattolica specializzandosi in scienza della nutrizione ma d’estate fa anche il cameriere a Londra per imparare la lingua oppure lavora nelle aziende della zona per la cosiddetta campagna del pomodoro. Nel 1960 viene assunto a Lodi da un’azienda belga che produce antibiotici, un anno più tardi è all'Unilever Italia, settore ricerca e sviluppo. E all’Unilever, che produce a Crema la maionese Calvè, resta cinque anni. Va spesso all’estero e osserva l'importanza crescente dei supermercati e lo sviluppo dello scatolame. Finché nel 1966 si mette in proprio. I genitori non sono d’accordo in quanto non si lascia un posto come quello all'Unilever ma lui fa orecchie da mercante e crea la Formec che ha un doppio significato: For-Mec, cioè «per il Mercato comune europeo» ma anche «Formaggi per il Mec» in quanto i suoi primi prodotti sono proprio formaggini sfusi usati nelle pappe dei bambini. In azienda fa tutto lui in quanto assumerà il primo operaio, Virgilio Ferrari, solo un anno più tardi. Compra un grosso frullatore di dieci chili, acquista al prezzo di rottame un vecchio impianto utilizzato per riempire di pomodoro i tubetti e inizia con due plateau di trenta uova, due fustini di olio da 25 chili e un furgoncino 1100 con il quale vende il prodotto ai negozianti.
Le alghe. «Un inizio molto difficile», ricorda. Tanto è vero che ad un certo momento pensa anche di estrarre dalle alghe una sostanza di nome agar-agar da cui si ottiene la gelatina per le scatolette di carne. È il primo in Europa. Trova le alghe nella zona di Goro, si mette d’accordo per approvvigionarsi col capo della cooperativa di pescatori che è il padre di Milva, ha la Lepetit come primo cliente. Lavora più di cento quintali di alghe e dieci quintali al giorno di maionese. Solo che alla fine del mese i conti non tornano in quanto, dice, «lavoravo con alghe bagnate invece che asciutte e non avevo quindi una resa sufficiente». Evita così il fallimento solo grazie ad un prestito di cinque milioni di lire. Casella lascia allora le alghe e si concentra sulla maionese. E quando anche in Italia prendono piede i supermercati e le donne hanno sempre meno tempo per pensare a farsi le salse e i sughi in casa, la sua maionese è sugli scaffali della grande distribuzione, dalla Standa alla Coop. Anzi, per un certo numero di anni la Formec produrrà solo per conto della grande distribuzione e dell’industria. La prima cliente è la Sasso, l’azienda di olio. E per la Sasso inventa la salsiera. Finché nel 1980 lancia il marchio Gaia che è poi il nome dell’unica figlia. Nello stesso tempo confeziona il bicarbonato Solvay per il mercato italiano, realizza per Nonna Amelia, all'epoca di proprietà dell’Italgel prima di passare alla famiglia Rana, un contenitore innovativo in vetro per il pesto. Sembra una sciocchezza ma Casella acquista il vetro dalla Zignago, ne fa laccare il bordo da un’azienda tedesca, si rivolge quindi ad un’impresa austriaca per la capsula di chiusura e compra l’etichetta in plastica dai giapponesi. E la Ford inglese realizza la confezionatrice-prototipo. Pignolo al punto da assaggiare tutti i giorni con i collaboratori un prodotto suo o della concorrenza, grande accentratore e grande lavoratore in quanto dorme poco e alle 8 è già in azienda distribuendo una serie di bigliettini con le sue idee e i suoi rilievi che mettono in fibrillazione l’intero staff, passione per lo sci e il tennis ma in particolare per il mare con una barca d’epoca pluripremiata di 23 metri ormeggiata a Cannes, collezionista di arte moderna e soprattutto di artisti piacentini, da Xerra a Milani, l'infaticabile Casella segna una tappa fondamentale nella storia del suo gruppo quando nel 1984 acquisisce Biffi, grande marchio della tradizione gastronomica milanese che ha origine nel lontano 1852. E con quel marchio entra nel mondo del retail, vendendo all’estero non solo panettoni e caffè ma anche maionese, pesto, salse e sughi.
Top di gamma. Casella specializza Gaia nel catering e posiziona Biffi al top della gamma nel retail. Oggi la Formec Biffi ha 155 dipendenti, il quartiere generale a San Rocco al Porto in un'area di 185mila metri quadrati ricoperta di sculture moderne ma in cui coltiva anche il basilico in attrezzati campi sperimentali e un fatturato di 55 milioni di euro con l’export che incide solo per il 10% in quanto riguarda prodotti di nicchia. Produce 700 quintali al giorno di maionese, 500 di ketchup e 120 di pesto, utilizza 250mila uova e lavora ogni 24 ore un autotreno di olio di girasole.


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