Economia

Casse e fondi sanitari, i problemi sul tappeto

Casse e fondi sanitari, i problemi sul tappeto

Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Freno o stimolo per un mercato che ha un alto, ma ancora inespresso, potenziale di crescita? Le normative che regolano la sanità integrativa suscitano molte discussioni e qualche polemica. Da quando nel 1999 Rosy Bindi ha cominciato a intervenire sulla materia, con la gestione di Livia Turco e i provvedimenti dell’attuale ministro del Welfare Maurizio Sacconi, qualche paletto è stato fissato e sono stati raggiunti alcuni risultati. I provvedimenti di Sacconi vogliono individuare regole di funzionamento di tutto il sistema. Indicano, per esempio, quali sono le prestazioni vincolate, alle quali fondi sanitari, casse e società di mutuo soccorso con esclusivo fine assistenziale devono obbligatoriamente destinare il 20% delle risorse impiegate complessivamente, per poter godere del trattamento fiscale agevolato previsto dal testo unico delle imposte sui redditi. La soglia dovrà essere rispettata fin dalla gestione, relativa all’anno 2010, per avere le agevolazioni previste a partire dal 2012. Le prestazioni vincolate sono l’assistenza odontoiatrica, quella socio-sanitaria a persone non autosufficienti e quella finalizzata al recupero della salute di soggetti temporaneamente inabilitati da malattia o infortunio. Sacconi ha anche istituito l’Anagrafe dei fondi sanitari e delle casse, enti o società di mutuo soccorso, alla quale bisognava iscriversi entro l’aprile scorso.

Tutto bene, dunque? Non sembra. La complessità della materia e gli interventi legislativi hanno creato confusione e incertezza tra gli operatori del mercato. Tant’è vero che Assoprevidenza ha avviato un tavolo tecnico di autoregolamentazione con Ania, Abi, Confcommercio e Fimiv per sottoporre soluzioni operative alle istituzioni che si occupano di sanità.

E allora, in che modo le nuove normative incidono sulla gestione e di fondi e casse sanitarie? Come cambiano, dopo il decreto Sacconi, i piani di sviluppo delle compagnie? Che ruolo hanno gli intermediari in questo campo e nella diffusione di coperture-salute collettive? E, più in generale, quali scenari si possono disegnare per l’assistenza sanitaria integrativa in Italia? Per rispondere a queste domande, il Giornale delle Assicurazioni ha organizzato una tavola rotonda, moderata da Sergio Paci, ordinario di economia degli intermediari finanziari alla Bocconi di Milano, cooordinata da Angela Maria Scullica, direttore del Giornale delle Assicurazioni e di BancaFinanza alla quale hanno partecipato: Maurizio Ballabio, direttore centrale mercato finanziario, assicurativo e riassicurativo di Europ Assistance; Fabio Carniol, country lob leader di Towers Watson; Federico Casini, direttore generale di Aon; Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza; Fiammetta Fabris, direttore operativo di Unisalute; Mario Ferrari, direttore commerciale di Blue assistance; Francesco Fidanza, dirigente responsabile per le imprese di Cattolica Previdenza; Claudio Giammatteo, direttore di Faschim; Maurizio Gottardi, responsabile ramo infortuni e malattie, direzione per l’Italia di Generali; Massimo Miniero, responsabile employee benefits di Marsh; Ole Neuhaus, amministratore delegato di Dkv Salute; Francesco Paparella, presidente di Aiba; Placido Putzolu, presidente di Fimiv (Federazione italiana della mutualità integrativa volontaria).

Domanda. I provvedimenti del ministro Sacconi disegnano un sistema di regole per fondi e casse sanitarie. Si tratta di una spinta per lo sviluppo del mercato delle polizze sanitarie?

Corbello. Sappiamo tutti che lo sviluppo delle forme di assistenza sanitaria privata è una scelta fondamentale per il nostro Paese, perché il sistema sanitario nazionale pubblico, in futuro, non potrà certo rispondere in toto alle esigenze di salute e di cura dei cittadini. È anche ben noto che la vicenda legislativa della materia è stata e, per certi versi, è ancora lunga e complicata. La normativa Bindi risultava molto barocca e, tra l’altro, aveva inserito la distinzione, davvero cervellotica, tra «fondi doc» e «fondi non doc». Una discrasia oggi «quasi» superata. Il governo attuale e il precedente, anche se di colorazione politica diversa, hanno proseguito il percorso legislativo sulla sanità integrativa in un apprezzabile indirizzo di continuità. Disponiamo adesso di un corpus di misure con cui confrontarci: ci sono senz’altro correzioni da apportare in molti ambiti, ma direi che l’impianto complessivo è buono. Il problema principale è quello della fiscalità. Confido che l’amministrazione finanziaria, debitamente supportata dai tecnici espressione del settore (Assoprevidenza ci sta lavorando molto) sia in grado di produrre una circolare interpretativa che risolva le criticità che ancora esistono. In altre parole, attraverso una ricostruzione sistematica della disciplina tributaria, si dovrebbe arrivare a disegnare un regime fiscale unitario per lavoratori subordinati e autonomi. Sono abbastanza ottimista, sebbene, in questo campo, le variabili da prendere in considerazioni siano numerose. Certo non aiuta il debito pubblico del nostro Paese, un vincolo finanziario che potrebbe finire con il limitare le forti potenzialità di crescita del settore.

Carniol. Il mercato sta vivendo un momento confuso: da una parte abbiamo una domanda crescente di maggior protezione della salute, di integrazione di quello che offre il servizio sanitario nazionale; dall’altra una normativa ancora incompleta e di non chiara applicazione, che, spesso, mette le aziende nella necessità di chiedere consulenza. Da una nostra indagine, in collaborazione con Gfk - Eurisko, è emerso chiaramente che il rimborso delle spese mediche è tra i benefit più apprezzati dal 42% degli impiegati (è il preferito in assoluto) e dal 28% dei quadri dirigenti. Il principale trend del mercato è un aumento generalizzato nell’offerta di assistenza sanitaria integrativa: tradizionalmente riservata ai dirigenti, ora è offerta dalle aziende a tutti i dipendenti. Considerando il campione di oltre 250 aziende che partecipano alla nostra indagine retributiva annuale, nel 2009, il 91% dei dirigenti aveva questo benefit (era l’88% nel 2006), il 63% degli impiegati contro il 54% di quattro anni fa, e gli operai sono passati dal 35% al 49%. Parallelamente alla domanda sono aumentati i costi: +30% tra il 2005-2007 in Italia, contro il 27% degli Usa (ma +7% nelle multinazionali americane più «virtuose»). Gli aumenti dei costi sono dovuti principalmente all’alto utilizzo dei piani sanitari integrativi e ai prezzi delle polizze non competitivi, ma incidono negativamente anche la mancanza di politiche di prevenzione e un inadeguato disegno del piano sanitario. Le aziende cercano di controllare i costi introducendo franchigie e scoperti (il 27%, indagine Towers Watson, 2008), prevedendo prestazioni esclusivamente in centri convenzionati (32%), abbassando i massimali o aumentando i contributi da parte di dipendenti, ma si tratta di interventi non risolutivi. Il vero nodo è il disegno del piano, che deve essere coerente con gli obiettivi dell’azienda e con le caratteristiche della popolazione a cui è rivolto. Più il piano aziendale punta a offrire coperture ad alto valore aggiunto per eventi a bassa frequenza ma «catastrofici» per il nucleo familiare (come grandi interventi, perdita di autosufficienza e via dicendo), magari integrando quanto garantito dal fondo sanitario di categoria, più c’è spazio per le imprese di assicurazione capaci di selezionare i rischi e di offrire soluzioni innovative. Il quadro normativo dovrà consentire a tutti i soggetti di proporsi valorizzando i propri punti di forza, ma oggi le compagnie sono soggette a norme e regole di vigilanza molto più stringenti dei fondi sanitari autoassicurati e delle mutue. Il decreto Sacconi è solo un primo passo nella giusta direzione.

Casini. È nata una normativa che, in questa prima fase, pone forse più problemi che opportunità. In primo luogo perché impone le stesse regole a soggetti storicamente e strutturalmente differenti tra di loro: fondi sanitari contrattuali, mutue, casse sanitarie interaziendali, autogestite o assicurate, che hanno obiettivi, modelli e governance diversi. In secondo luogo perché quando, per esempio, si cerca di trasferire sul privato ciò che il pubblico non riesce a dare, è opportuno unire ai benefici fiscali anche un indirizzo corretto dell’uso dei fondi sanitari, che devono essere intesi come integrativi e non sostitutivi del Servizio sanitario nazionale. È indispensabile che l’autorità che detta le regole abbia tutte le informazioni necessarie e si confronti con gli attori del mercato, per creare certezze e non confusione. Il mercato delle coperture sanitarie collettive ha forte potenzialità di crescita, non ancora espressa completamente, ma ha bisogno anche di un suo posizionamento chiaro e preciso rispetto al tema più ampio dell’assistenza sanitaria nazionale.

Gottardi. Ci troviamo di fronte a un settore complesso che genera problemi articolati. La grande divisione passa tra soluzioni individuali e collettive. Come noto, il portafoglio collettivo deve sottostare a tecniche assuntive, di controllo e modalità relazionali con il cliente che sono assolutamente diverse è più delicate rispetto a quello individuale. Tuttavia, il mercato è cresciuto molto grazie proprio alla componente collettiva e qui sta anche lo sviluppo futuro. La sfida per le compagnie è quella di continuare a stare nel settore recuperando efficienza sia nel controllo dei costi, sia nella gestione del servizio. Non sono d’accordo con l’affermazione secondo cui l’assistenza integrativa non può essere un business per le compagnie, ma solo per i fondi autogestiti in cui la componente assicurativa sia molto bassa. Il business assicurativo può esserci, e ci sarà. Sempre che si sviluppi una vera integrazione (e non mera sostituzione come è oggi) del servizio sanitario nazionale. L’attenzione va posta sui margini di redditività che la compagnia deve ottenere attraverso il recupero di efficienza. Per esempio: il controllo dei costi attraverso network convenzionati è una strada da continuare a percorrere e migliorare, canalizzando gli assistiti nei network e soprattutto sviluppando nuove tipologie di rapporti con i provider sanitari. Ma dobbiamo tutti renderci conto che la sanità integrativa non potrà continuare a costare così poco ad aziende ed enti e pretendere di fornire tutta l’assistenza necessaria ai bisogni dei consumatori-assistiti. A questa situazione, già complessa, si aggiungono normative farraginose che complicano e non risolvono i problemi. Anche il decreto Sacconi soffre, a mio avviso, di una stesura pensata senza tener conto delle peculiarità dei fondi «assicurati», tanto è vero che si è dovuti ricorrere a interpretazioni e chiarimenti successivi e in prossimità della scadenza di iscrizione all’anagrafe.

D. Le critiche al decreto sono numerose. Pensate che il ministero cambierà qualcosa? E quali sono le modifiche indispensabili più urgenti?

Miniero. Ritengo che la normativa sui fondi sanitari non subirà modifiche, almeno nell’impianto generale, e questo potrebbe non incentivare il settore. L’impatto immediato è rappresentato dal fatto che legge e regolamenti si sono inseriti in un contesto già esistente fatto di moltissime casse, soprattutto interaziendali (gestite da broker e compagnie) rette da un principio mutualistico e inserite in accordi collettivi, che sono molto simili per principi generali ma diversissime per contenuti e prestazioni. Il legislatore, che probabilmente non conosceva questa realtà, non ha colto la peculiarità dei diversi sistemi e ha dettato regole di difficile interpretazione (e quindi di applicazione). Sono stati posti numerosi quesiti interpretativi, perché senza interpretazioni ufficiali e chiare della legge è impossibile districarsi fra le tante incongruenze e lacune del dispositivo di legge. Questa situazione ha sicuramente «spaventato» qualche player del settore. Tant’è vero che all’anagrafe si sono iscritti 273 fondi, molto pochi. Pur capendo il principio ispiratore della legge, è difficile pensare che voler inserire per via legislativa coperture sanitarie obbligatorie sia la strada migliore per incentivare questi piani. Solo l’azienda ha tutti gli elementi per valutare i reali bisogni dei dipendenti e quindi le informazioni per decidere in quali campi integrare il Ssn o meglio i 20 diversi sistemi sanitari regionali previsti in Italia.

Paparella. I presupposti oggettivi per lo sviluppo dell’assistenza integrativa e privata ci sono, basti pensare alla crescente spesa out of pocket delle famiglie italiane. Esiste anche un quadro normativo che fissa dei paletti e, per la prima volta, con l’anagrafe dei fondi sanitari c’è un elenco completo di soggetti che operano in questo settore. Si ha una panoramica complessiva della qualità e dei servizi offerti da casse e fondi, li si può confrontare. E qui entra in gioco il ruolo determinante del broker: è la consulenza che può far scattare quell’elemento soggettivo necessario allo sviluppo di qualsiasi settore. Solo se ha coscienza di avere a disposizioni soluzioni efficaci per rispondere alla domanda di una maggiore assistenza sanitaria dei suoi dipendenti, un’azienda potrà ricorrere a un fondo integrativo. Lo stesso accade per associazioni o qualsiasi altro affinity group. Il broker ha il ruolo di selezionare i programmi sanitari più adatti alle esigenze dei clienti e, allo stesso tempo, con la sua opera di analisi e di proposta, contribuisce al diffondersi della cultura assicurativa. In questo compito è aiutato da Aiba, che sul tema della sanità integrativa ha organizzato recentemente un convegno e continuerà a impegnarsi in tutte le sedi.

Giammatteo. La normativa è chiaramente un work in progress che necessita di aggiustamenti, con particolare riferimento alla modalità di calcolo delle risorse vincolate: la soglia del 20% che i fondi devono impiegare, per beneficiare del trattamento fiscale agevolato, nelle prestazioni di cure odontoiatriche e assistenza alle persone non autosufficienti o finalizzate al recupero della salute di soggetti temporaneamente inabilitati da malattia o infortunio. A oggi, in merito vi è solo una lettera del ministero della Salute, in risposta a quesiti posti da Assoprevidenza e Fimiv. Questo documento evidenzierebbe una differenza sostanziale nella modalità di calcolo delle risorse vincolate dei fondi autogestiti, come Faschim, e di quelli che operano attraverso polizze assicurative. Per i fondi autogestiti il calcolo andrebbe fatto ex post sulle prestazioni liquidate, salvaguardando il principio di competenza; viceversa per fondi che si avvalgono di convenzioni assicurative il computo verrebbe fatto ex ante, con una certificazione della compagnia che indicherebbe la quota percentuale del premio destinata a prestazioni vincolate. Una posizione discriminatoria che penalizza fortemente i fondi negoziali autogestiti. E un differente trattamento a fronte della stessa situazione. I fondi in autogestione non possono veder subordinata la certezza della deducibilità sulla base dell’aleatorietà del verificarsi o meno di un evento. Faschim ha definito il proprio tariffario a garanzia del rispetto della soglia delle risorse vincolate del 20%, ma non può subire un trattamento diverso e penalizzante rispetto ai fondi che usufruiscono di convenzioni assicurative. E se i nostri assistiti dovessero differire in modo significativo le cure odontoiatriche (in un periodo particolare di difficoltà economica)? Se per un qualche motivo dovesse aumentare il costo delle prestazioni usufruite con il ticket? Il rapporto delle prestazioni vincolate da calcolarsi ex post sarebbe notevolmente inficiato rispetto a quello che si otterrebbe ex ante in un regime di convenzione con una compagnia. Certo, si tratta di una lettera, non di una legge. Ma è preoccupante che si metta in discussione l’uguaglianza: il principio della parità di trattamento è inderogabile, altrimenti si finisce per avvantaggiare qualcuno e penalizzare altri. La fiscalità deve essere neutra, non incidere, in maniera diretta o indiretta, sul costo della prestazione. È la qualità che deve fare la differenza. Per via dell’ex-post il fondo potrebbe non aver diritto ai vantaggi fiscali, anche se, ex-ante ha definito il proprio tariffario in modo che quella percentuale venga salvaguardata. Diversamente a un altro fondo, convenzionato con un’assicurazione, basterebbe una dichiarazione iniziale e non ci sarebbe nessun obbligo di rendicontare le spese.

Putzolu. Una grave carenza del «secondo pilastro» della sanità è che ancora manca il completamento delle disposizioni regolamentari dei fondi aperti integrativi del Servizio sanitario nazionale. Non tutta la popolazione, infatti, è composta da lavoratori dipendenti: lavoratori autonomi, liberi professionisti, disoccupati, casalinghe non hanno uno strumento che completi la loro assistenza sanitaria. Oggi le società di mutuo soccorso sanitarie, oltre a svolgere una funzione istitutiva di fondi sanitari aziendali e di derivazione negoziale, sono per loro natura gli unici fondi aperti alla collettività con possibilità di operare. Come Federazione italiana della mutualità integrativa volontaria abbiamo chiesto al ministero della Salute la possibilità che le società di mutuo soccorso, per le prestazioni esclusivamente integrative al Ssn, possano iscriversi all’Anagrafe dei fondi sanitari «aperti». E che, in assenza di un regolamento generale, possano adottare le modalità gestionali e organizzative previste dal proprio ordinamento di settore. Ma la vera soluzione passa attraverso un grande sforzo collettivo di solidarietà. La restrizione del campo operativo alle sole prestazioni integrative, al quale va aggiunto il peso dei due ambiti di intervento di maggior costo privato (la non autosufficienza e l’odontoiatria), richiede un’assunzione di responsabilità sociale diffusa, che coinvolge gli operatori del settore, le istituzioni, in primo luogo quelle locali. I fondi territoriali, con il concreto contributo delle regioni, rappresentano una grande opportunità; gli interventi degli enti locali possono irrobustire la sostenibilità dei fondi aperti. Ma occorrono correttivi di armonizzazione tra fondi aperti e chiusi, interventi pubblici di integrazione per i soggetti senza reddito che non possono essere lasciati soli e, soprattutto, normative certe e chiare per ogni tipo di integrazione al Servizio sanitario nazionale.

Neuhaus. La mia esperienza nel campo delle assicurazioni è maturata nel settore della tutela giudiziaria. Mi sento un po’ un neofita nel campo sanitario, sono entrato in Dkv Salute a fine aprile di quest’anno. Studiando il trend dei conti delle compagnie mi è saltato agli occhi il cattivo andamento tecnico del settore. Con la struttura attuale il mercato è finanziariamente insostenibile per quasi tutte le assicurazioni: sono pochissime quelle che riescono a guadagnare. Mi chiedo per quanto tempo possa ancora durare questa situazione. Se le perdite continuano si rischiano conseguenze gravissime, facilmente immaginabili per la sanità privata, ma anche per il sistema sanitario nel suo complesso, sistema sanitario che non ha, già adesso, risorse per la «non autosufficienza» e per la long term care e dipende per questi settori da compagnie di assicurazione finanziariamente robuste. Una struttura di aziende continuamente in rosso non ha la forza di rinnovarsi, di mettersi all’altezza della nuova domanda di salute dei consumatori. Allora tutti i protagonisti del settore devono rendersi conto che bisogna tornare ai «fondamentali»: chiedere un prezzo equo per il rischio, ridurre le aree di inefficienza, abbassare i costi senza sacrificare i servizi; avere, in altre parole, conti in ordine.

D. Il tema dei costi e della sostenibilità nel lungo periodo della sanità integrativa è fondamentale. Che misure possono prendere le compagnie per governare i costi e dare più efficienza al sistema?

Ferrari. Se la questione centrale è, come anche io credo, il governo della spesa, allora bisogna dire chiaramente che è necessario rendere più trasparenti i costi dei servizi sanitari, aumentandone la competitività e mitigando il trend di continuo aumento dei costi. Migliorare e razionalizzare le uscite significa, allora, trovare soluzioni alternative che consentano alle compagnie e alle casse di controllare le modalità di erogazione degli interventi e dei conseguenti costi; la principale è costruire, tramite i provider di servizi, network convenzionati di centri e cliniche che pratichino tariffe concordate, mantenendo elevati standard di qualità. Bisogna incentivare il socio/assicurato a servirsi di queste strutture che, inoltre, erogano le prestazioni con pagamento diretto delle stesse da parte del provider. L’alternativa a questi provvedimenti (se vogliamo salvaguardare l’equilibrio economico, l’unico che può garantire la continuità del business) sarebbe quella di ridurre o limitare le prestazioni. Un assurdo, quest’ultimo, che contraddice le motivazioni per cui sono nati fondi, mutue, casse integrative, e cioè colmare il gap di assistenza e di qualità del Servizio sanitario nazionale. E che potrebbe segnare la fine della crescita di un settore che ha ancora grandi possibilità di sviluppo.

Fabris. Ci sono ancora molti temi aperti che non hanno trovato soluzioni univoche. Uno dei principali è relativo alla valutazione della soglia del 20% stabilita dal decreto per il requisito di detraibilità fiscale. Noi riteniamo, per l’esperienza sulle casse sanitarie, che il decreto sarà certamente un’opportunità se non a breve sicuramente nel futuro, poiché certamente clienti e mercato sposteranno la loro attenzione sui due elementi cardine: odontoiatria e prestazioni di non autosufficienza. Per ora, invece, il lavoro fatto è stato essenzialmente quello di riprocessare coperture esistenti calcolando il peso specifico che queste prestazioni hanno sul complesso. Da adesso in poi bisognerà sempre più calcolare che impatto potrà avere sulla struttura dei costi la frequenza di garanzie quasi completamente assenti prima d’ora nei fondi, soprattutto quello relativo alle cure odontoiatriche che potrebbero rischiare di andare fuori controllo. Anche nel medio tempo non si potrà scaricare sulle aziende e sulla clientela un incremento dei costi, e quindi dei relativi premi assicurativi, perché si potrebbe rischiare uno stop o forse una regressione di un mercato finora in crescita. La soluzione allora proponibile da operatori seri è quella di un’attenzione sempre vigile sulla sinistrosità e quindi su un efficace controllo sui prezzi delle prestazioni. Sempre più opportuna si rivela, quindi, la soluzione dell’utilizzo di reti sanitarie convenzionate, di centri di diagnostica e cliniche verso i quali orientare gli assistiti per sfruttare i prezzi calmierati e soprattutto certi. Solo in questo modo potranno essere garantite soluzioni anche a lungo termine per tutti gli assistiti. Anche la politica dovrà fare la sua parte per risolvere alcune incertezze della normativa, individuare i livelli essenziali di assistenza e consentire in maniera efficace anche la partenza dei fondi doc, magari di matrice regionale, che potrebbero vedere in prima persona attiva la pubblica amministrazione e aprire così nuove interessanti prospettive di crescita per tutto il settore sanitario.

Fidanza. Il regime attuale integrativo del Servizio sanitario nazionale ha due punti critici. Il primo è che ne fanno parte i lavoratori dipendenti: ne sono esclusi i professionisti-target ad alto reddito e ad alta capacità di spesa, e le fasce sociali che hanno meno protezioni, inclusi dipendenti di piccole o piccolissime imprese, che però costituiscono una percentuale non insignificante degli occupati in Italia. La seconda criticità è la mancanza di regole uniche e univoche che rispettino le specificità dei vari enti che agiscono in questo campo: la normativa sembra favorire i fondi negoziali, mentre viene dedicata poca attenzione ad altre forme di mutualità o di copertura di servizi aggiuntivi alla sanità pubblica. E poi, imporre la soglia del 20% per l’odontoiatria e la non autosufficienza è un forte sbarramento all’ingresso di nuovi player sul mercato. Comunque, anche con queste limitazioni normative, la sanità integrativa è destinata ad assumere un ruolo sempre più rilevante nel panorama assicurativo italiano e di conseguenza risulterà fondamentale per le compagnie contare su una rete di specialisti sulla previdenza e sull’assistenza integrativa capaci di raggiungere i lavoratori e le famiglie e di fornire delle soluzioni efficaci per la realizzazione di un vero welfare integrato. A tal proposito, il  gruppo Cattolica ha costituito Cattolica Previdenza, compagnia specializzata nel fornire soluzioni per la previdenza e l’assistenza integrativa sia per gli individui sia per le imprese.

Ballabio. Europ Assistance nasce dall’assistenza: per questo motivo, la nostra visione del settore è un po’ diversa rispetto a quella di una compagnia tradizionale. Personalmente ritengo che l’innovazione nel mondo dei fondi e delle casse sia di difficile attuazione, nel senso che è difficile uscire dalla pura logica del rimborso, cioè in sostanza dalla duplicazione delle prestazioni del sistema sanitario. C’è una certa resistenza da parte del sistema al cambiamento, che non può essere attuato se non si parte da un’attenta analisi dei bisogni degli assicurati. Le nuove esigenze dei clienti - o se preferiamo degli associati - sono perfettamente conoscibili, poiché ci vengono comunicate in mille occasioni. È partendo da queste considerazioni che, a nostro avviso, si deve riconfigurare l’offerta dei fondi. Come compagnia leader nell’assistenza ci siamo concentrati su quello che gli altri non fanno e che i clienti sembrano oggi apprezzare maggiormente e cioè il servizio. La nostra mission è di fornire un’assistenza qualificata che aiuti a risolvere i problemi che si presentano nella vita quotidiana quando si ha a che fare con la malattia. Abbiamo sviluppato negli anni un network di partner di alta qualità (professional, operatori, centri sanitari e via dicendo) che gestiamo e controlliamo direttamente, con risultati estremamente positivi. Recentemente abbiamo inoltre lanciato alcuni prodotti centrati sul concetto dell’assistenza domiciliare integrata. Offriamo anche prestazioni tecnologicamente avanzate, come la telemedicina e i servizi internet. Il messaggio che oggi vorremmo indirizzare ai fondi e alle casse è questo: il concetto di rimborso delle operazioni, delle cure mediche e delle visite specialistiche è importante, ma va completato con i servizi pre e post ricovero. Organizzare, informare, orientare e assistere sono le parole che oggi creano un alto grado di valore percepito.

Proprio su queste attività continueremo a concentrare la nostra offerta, perché il rimborso non è tutto: quello che conta è che cosa accade dopo, la qualità della vita della persona che ha subito un intervento, che è uscita da una malattia.

Commenti