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Il Cav snobba il WSJ e ignora il caso Merkel: Il vero guaio è l'euro

Berlusconi non bada allo scoop del Wall Street Journal e avverte: "Riformare la moneta unica o l’Italia resta a rischio"

Il Cav snobba il WSJ e ignora il caso Merkel: Il vero guaio è l'euro

RomaChe sia vera o no la ricostruzione del Wall Street Journal sul passaggio recente della storia d’Italia che ha portato alla caduta di Silvio Berlusconi, che sia vero o no il ruolo da protagonista avuto in quella fatidica vicenda da Angela Merkel, che secondo il quotidiano newyorkese avrebbe preteso dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dio vedere servita su un vassoio d’argento la testa del Cav per salvare l’euro, all’ex premier sembra non interessare. A caldo, dopo l’articolo del Wsj, non aveva voluto commentare, lasciando trapelare solo una blanda irritazione e pochissima sorpresa. E anche il giorno dopo, nel tradizionale augurio di fine anno agli italiani andato in onda nell’edizione mattutina del Tg5 di sabato 31 dicembre, della ingombrante (in tutti i sensi) cancelliera tedesca e delle sue ingerenze nelle italiche vicende non c’è traccia.

Nessun riferimento esplicito, almeno. Perché qualche sassolino dalle scarpe Berlusconi se lo leva volentieri nel suo intervento in diretta telefonica. «Nonostante la manovra del governo dei professori che ha imposto numerose tasse, soprattutto sulla casa, e nonostante siano stati richiesti pesanti sacrifici ai risparmiatori e ai lavoratori vicini alla pensione - precisa - lo spread è rimasto su livelli elevati e la crisi economica non dà segni di allentamento. Gli italiani giustamente si chiedono perché lo spread rimane sopra quota 500, quali sono le cause e perché il cambio di governo non ha cambiato i mercati. Nessuno finora ha dato risposte convincenti a queste domande e risulta sempre più evidente la menzogna di chi aveva indicato il nostro governo come l’unica causa dello spread elevato e quindi della crisi».
La voce è ferma, un misto di serenità e rassegnazione, eppure si arrochisce di amarezza quando racconta delle dimissioni da Palazzo Chigi: «Quando un mese e mezzo fa ho lasciato la guida del governo senza mai essere stato sfiduciato in parlamento - racconta Berlusconi - l’ho fatto proprio per evitare che la speculazione finanziaria si accanisse contro l’Italia e contro i risparmi delle famiglie, l’ho fatto per senso di responsabilità e senso dello Stato». Un sacrificio che lui già sapeva al contempo inevitabile ma inutile, visto come sono poi andate le cose. Perché il Cav ne è convinto: lui era un falso problema. Il malato vero non è l’Italia e il suo governo, ma l’euro che festeggia il suo mesto decennale, «una moneta anomala, una moneta debole perché non ha dietro di sé una banca centrale come garante di ultima istanza dei debiti pubblici come accade per le altre monete forti come il dollaro, la sterlina, lo yen. In questi Paesi con un deficit più elevato del nostro l’economia sta crescendo. Invece e purtroppo l’euro è destinato a rimanere una moneta in crisi fin quando l’Europa non cambierà strategia puntando non solo sul rigore ma anche sulla crescita». La Merkel, capofila dei pedanti euromaestrini, è servita.
Insomma, come il signor Malaussene partorito dalla penna di Daniel Pennac, Berlusconi è consapevole di aver svolto lo sporco lavoro del capro espiatorio. Ma sa bene che i problemi dell’Europa non stanno a Roma ma a Bruxelles. «L’Europa è divisa e incapace di decidere e questo i mercati lo hanno capito benissimo. E questa cosa la paghiamo soprattutto noi italiani». L’Europa deve cambiare, mettendo mano «con rapidità e maggiore coesione alla riforma dell’unione europea». Altrimenti «la crisi dell’euro si allargherà con esiti imprevedibili ai paesi più forti». Ma anche l’Italia deve cambiare. Lui aveva incominciato a farlo: «Prima che la speculazione si scatenasse contro il nostro Paese e contro l’euro, il nostro governo aveva dato prova di sapere mantenere tutti gli impegni; abbiamo tenuto sotto controllo i conti pubblici tagliando le spese improduttive dello Stato e senza aumentare mai la pressione fiscale, grazie a un forte stanziamento per la cassa integrazione abbiamo garantito la coesione sociale e abbiamo realizzato numerose riforme strutturali e altri ci accingevamo a fare in accordo con la banca centrale europea». Ora tocca a Monti. Auguri.

E non solo di buon anno.

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