«Chi difende la famiglia non è un pirla»

da Roma

Chi difende la famiglia e si oppone al riconoscimento delle unioni di fatto non può essere liquidato come un «pirla». Lo mette nero su bianco, in uno dei suoi editoriali, il quotidiano cattolico Avvenire. È il giurista Francesco D’Agostino a rispondere alle espressioni usate dalla giornalista del Corriere della Sera Maria Laura Rodotà in uno dei forum on line del quotidiano di via Solferino. Le polemiche sui Dico, a detta della Rodotà, «hanno dato la stura ai pirla», cioè gli «irrispettosi verso la vita personale e sociale e verso i sentimenti più profondi di molta gente».
D’Agostino replica a quella che Avvenire definisce una «pittoresca espressione» osservando: «Quando l’argomentazione è sostituita dall’insulto o dall’invettiva, c’è poco da stare allegri. Perché questa è la situazione del dibattito italiano attuale sulla famiglia e sulle convivenze: da una parte c’è chi insulta..., dall’altra (quella dei "pirla") c’è chi con pazienza riflette e argomenta». Il giurista cattolico spiega quindi che la famiglia non è un’invenzione «storico sociale», né è «attribuibile a una cultura e a una determinata epoca». Ma è, invece, «una struttura antropologica fondamentale; l’uomo, così come è l’unico animale che parla, l’unico animale che ride (e, purtroppo, anche l’unico animale che fa ridere), l’unico animale che seppellisce i propri morti, è l’unico animale che si sposa». Le «determinazioni giuridiche della famiglia - fa osservare ancora D’Agostino - variano nei secoli e secondo le diverse culture, ma la sua funzione antropologica - garantire l’ordine delle generazioni - resta costante; questa che chiamiamo garanzia dell’ordine delle generazioni non si appoggia a impulsi istintuali o biologici, ma si determina a partire da una specifica volontà, quella di un uomo e di una donna di essere pubblicamente riconosciuti marito e moglie». Ecco perché, autodefinendosi provocatoriamente «pirla», «uno dei tanti pirla che portano qualche argomento e non si limitano a fare proclami e che sarebbero felicissimi, invece di essere insultati, di ascoltare almeno una volta, da parte di chi non è d’accordo con loro, argomenti veramente alternativi, dotati di consistenza».
Non basta, conclude il giurista nel suo editoriale, «parlare di “diritti che nell’Europa avanzata sono acquisiti da tempo”, o fare l’elogio di Tony Blair che ha dato poco vietato alle agenzie cattoliche per l’adozione di discriminare le coppie gay.

Vogliamo ascoltare argomenti consistenti, non essere esortati ad imitare gli errori altrui. Vogliamo che tutti, proprio tutti, si mettano a pensare: insultare può essere divertente, ma non può sostituire il buon uso dell’intelligenza».

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