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Christiania tradita: dal sogno hippie ai nuovi radical chic

La famosa città autogestita nata da un'occupazione abusiva nel 1971 è ormai un'attrazione turistica. Le nuove generazioni attratte dagli agi

Christiania tradita: dal sogno hippie ai nuovi radical chic

da Copenaghen

Nella città libera di Christiania, a Copenaghen, vige un'anarchia all'acqua di rose. Il peace and love funziona a intermittenza e solo seguendo le regole, ma a distanza di sicurezza dall'immigrazione, tutt'altro che gradita. Con il tempo il quartiere è diventato un esperimento sociale di grande interesse, ma non ha mai incontrato le simpatie dello Stato, che ha tentato più volte lo sgombero senza successo. La città autogestita si è trasformata nella terza attrazione turistica della capitale danese, dopo il parco di Tivoli e la Sirenetta, ma soprattutto parte della sua identità. Tanto che nel 2009 l'allora premier Anders Fogh Rasmussen, poi segretario generale della Nato, offrì agli abitanti il riscatto del quartiere. La legalizzazione di Christiania è costata 10 milioni di euro. Sintomo di un'era in cui davvero tutto si può comprare, persino l'anarchia.

Il mito di Christiania è cominciato nel 1971 con l'occupazione abusiva di una base navale dismessa di 34 ettari nel bel mezzo di Copenaghen. A prendere l'iniziativa sono stati alcuni cittadini danesi alla ricerca di condizioni di vita migliori per le proprie famiglie. Abbandonato e ricoperto da prati e alberi, il terreno era protetto da una semplice palizzata di legno. Abbattere quelle assi è stato sufficiente per provare a costruire qualcosa di nuovo. Gli anni Settanta permettevano ancora di sognare, ma non c'è voluto molto perché ai pionieri dell'occupazione di Christiania si aggiungessero gli hippies e gli anarchici, le comunità alternative più numerose di quel tempo. Il quartiere ha continuato a crescere come uno Stato dentro lo Stato, con le sue idee e le sue utopie.

Visitare Christiania è come entrare in una dimensione parallela in cui le regole e le convenzioni a cui siamo abituati vengono messe in discussione. È un luogo in cui non è mai stato consentito l'accesso alle auto, in cui le droghe leggere sono da sempre tollerate, in cui il concetto di proprietà privata è quasi sconosciuto e in cui tutto sembra funzionare all'apparenza in modo armonico e secondo un principio decisionale che si basa sul consenso di tutti gli 850 abitanti. Il risultato di questo esperimento sociale è una specie di colorato e vivacissimo villaggio di provincia che trova spazio nel centro di una capitale europea. La comunità ha un asilo nido, un panificio, diversi bar e ristoranti, un maneggio, un teatro e un cinema. Esiste una fabbrica di biciclette molto trendy, esportate fino a New York, una tipografia, una radio, un laboratorio per restaurare macchine antiche.

Il momento ideale per una visita è di domenica mattina, quando i bambini giocano in strada come in un luogo senza tempo e gli adulti si affrettano lentamente per lo svolgimento delle proprie attività quotidiane che mettono insieme arte, lavoro e relax. La dicitura «città libera di Christiania» può sembrare un'operazione di marketing molto ben riuscita, ma sta di fatto che questa isola è disciplinata fin dai suoi primi istanti di vita da regole ben distinte da quelle della città, dello Stato danese o dell'Unione Europea. Da qui, si viene sopraffatti dal colore e da un senso di caos ordinato e alla fine, tutte le scritte sui muri, tutti gli strani oggetti che si trovano in giro e che servono alla vita di questo mulino bianco psichedelico sembrano al loro posto.

Negli ultimi anni però i problemi di sicurezza hanno cominciato ad avere più peso nell'opinione pubblica. Alcuni politici hanno promesso di chiudere il mercato della droga, ricordando quando nel 2016 uno spacciatore sparò e ferì due poliziotti. La comunità ha messo al bando droghe pesanti come l'eroina. Le decisioni vengono prese in assemblee che si dilatano in maratone di cinque ore, dato che tutti hanno diritto di parola. Dopo la sparatoria di tre anni fa, il mercato della droga era stato smantellato, ma la pausa è stata temporanea e il gioco quotidiano del gatto col topo è ripreso. «È quello che succede quando giochi a nascondino per quasi cinquant'anni, diventi molto bravo - dice Lasse Knudsen, addetto alla videosorveglianza delle pattuglie di polizia -. Le forze dell'ordine non organizzano più incursioni aggressive, perché non vogliono scioccare i turisti che vengono a guardare e a comprare. La verità è che non possono farci niente».

Lo stress della vigilanza costante impone un prezzo. Alcuni dormono con una mazza da baseball accanto alla porta, cambiano regolarmente numero di telefono oppure non lo usano proprio. Anche se la popolazione di Christiania è invecchiata, c'è stato un ricambio. Sono arrivate nuove coppie con figli, attratte più dalla natura lussureggiante che dagli ideali politici. Ormai l'ambientazione bohémien sembra un po' alle spalle. Nei café di Christiania si beve cappuccino, non tè con funghetti allucinogeni. C'è sempre Pusher Street con i suoi banchi di hashish ed erba in pieno giorno, i cartelli che vietano di correre e scattare fotografie, anche se alla fine con una mancia generosa si riesce a fotografare un po' di tutto. Pochi i metri quadrati dov'è sconsigliato venire la sera. Ma nel resto del parco, con bellissime passeggiate lungo i canali, tra uccelli selvatici e boschi incontaminati, si sono trasferiti soprattutto i radical chic danesi, registi, scrittori, liberi professionisti. La loro massima ambizione? Avere più parcheggi. Non ce ne sono a sufficienza nei dintorni. «Siamo soprattutto danesi - racconta il filmmaker Lucas Nilsen - Ma ci sono almeno 200 persone che vengono dalla Germania. Gli immigrati? Non sono particolarmente graditi. Non hanno voglia di integrarsi, creano disordini e portano droghe pesanti. Copenaghen è una grande città, facciamo volentieri a meno di loro».

Dichiarazione che spegne gli ultimi sussulti del tanto decantato paradiso terrestre.

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