Ciclismo

Un giro da non perdere

Pogacar obbligato a vincere. Ogni altro risultato sarà un fallimento. In una stagione piena di incidenti per molti big, la parola d’ordine sarà non farsi male. A 75 anni dalla tragedia, la carovana oggi a Superga per il tributo al Grande Torino

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Torino Bacigalupo, Ballarin e Martelli, Grezar e Rigamondi... così recitava la formazione tipo del Grande Torino che terminò tragicamente la propria favola terrena il 4 maggio del 1949 per diventare mito. Un solo nome per un Giro pronto a partire: Tadej Pogacar. È il nome del numero uno del ciclismo mondiale. Il numero uno di un Giro d’Italia che scatta quest’oggi dalla Reggia di Venaria Reale, per raggiungere Torino non prima d’aver scalato Superga dove alle 17.03 di quel tragico 4 maggio 1949 una delle squadre più forti di ogni tempo si schiantò contro il terrapieno della basilica di Superga.

Castigliano, Menti e Loik, Gabetto, Mazzola e Ossola: i nomi di una squadra eccezionale che costituiva in pratica la nazionale italiana negli Anni Quaranta, allenata da un’altra leggenda come Vittorio Pozzo. Delle 31 persone che erano a bordo non si salvò nessuno. Di quell’undici stellare si narrano ancora le imprese, in attesa di raccontare da oggi la favola bella di un ragazzo sloveno di soli 25 anni che sta ripercorrendo le gesta di Eddy Merckx, avendo vinto a soli 25 anni 70 corse, tra le quali spiccano su tutte due Tour, tre Lombardia, due Liegi e un Fiandre.

Tanti nomi da ricordare, un nome da tenere a mente. Lo sanno bene anche gli avversari di questo talento assoluto che scaracolla in bicicletta e che da oggi al 26 maggio prossimo attraverserà la nostra Penisola. Ha molto da perdere Taddeo, per questo in Italia è venuto solo per vincere. «È una corsa che mi ha sempre affascinato, che desideravo correre anche perché da voi c’è tanta cultura ciclistica e io un po’ italiano mi sento per davvero...», ha detto lui, il diretto interessato. E ancora: «Un Giro che posso perdere solo io? Non è così. Non è giusto dire queste cose nei confronti dei miei avversari. In un Grande Giro non c’è mai nulla di facile o scontato, le insidie sono sempre dietro l’angolo. Per tre settimane devi essere forte, determinato, convinto e fortunato».

La fortuna e la buonasorte oramai sono un optional. Si va sempre più veloci, su biciclette performanti e leggere: le cadute sono la logica conseguenza, che hanno condizionato l’inizio di questa stagione che ha messo ko il fior fiore di campioni: da Wout Van Aert che ha dovuto saltare il Giro a Primoz Roglic e Remco Evenepoel che avevano già scelto il Tour. Ma anche e soprattutto Jonas Vingegaard, alle prese con un recupero molto delicato, sempre in chiave Tour. «Non l’ho sentito, capisco che abbia voglia di privacy – dice Taddeoquando è caduto con gli altri sono rimasto in silenzio trattenendo il fiato». La sorte, il vero nemico di questo asso del pedale. La vera spada di Damocle sulla testa di tanti ciclisti. Il vero spauracchio sulla corsa rosa è la «Signora dai denti verdi».

Taddeo lo sa e a sua volta trattiene il fiato.

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