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Separazione e divorzio: cosa cambia con le nuove norme

Strettamente connesse, le due procedure sono state rese più snelle dalla Legge sul “divorzio breve” e dalle norme introdotte dalla riforma Cartabia. Ecco come

Che differenza c'è tra separazione e divorzio: cosa cambia con le nuove norme e che effetti hanno
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Con l’entrata in vigore delle modifiche volute dall’ex Ministra della Giustizia Cartabia sotto il Governo Draghi, da marzo di quest’anno le regole su divorzio e separazione sono cambiate: si potrà ottenere la separazione e il divorzio con un unico procedimento, con tempi più brevi, ma anche con eventuali sanzioni in caso di violazione degli accordi fra le parti. Vediamo le differenze fra le due procedure, e cosa cambia con le novità introdotte.

Separazione legale e di fatto

Avviando la separazione legale, i due coniugi si rivolgono al giudice per sospendere gli effetti del matrimonio. Una situazione solo momentanea, in attesa del definitivo provvedimento di divorzio, o di un’eventuale riconciliazione.

La separazione si divide in consensuale o giudiziale. Si parla di separazione consensuale quando i due coniugi si separano di comune accordo e si dichiarano d’accordo anche sulle condizioni del divorzio. In questo caso l’intervento del giudice ha l’unico scopo di sancire l’accordo tra le parti. Differente la situazione per quanto riguarda la separazione giudiziale: qui l’accordo manca e sarà il tribunale a pronunciare la sentenza di separazione, determinandone anche le condizioni.

C’è poi la separazione di fatto, conseguente all’allontanamento di uno dei coniugi (per volontà di una delle due parti, o per accordo di entrambe), ma senza l’intervento di un giudice. Si tratta della pratica più diffusa quando i due coniugi si allontanano per un periodo, con l’ipotesi di una riconciliazione futura.

Divorzio

Per divorzio si intende lo scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale, pronunciato su sentenza del giudice. Con questo cessano in maniera definitiva gli effetti del matrimonio, sia sotto il profilo patrimoniale che personale. I due ex coniugi, a seguito di divorzio, possono nuovamente sposarsi. Con la separazione in atto, che sia di fatto o legale, invece, non ci si può risposare. Tra la separazione e l’inizio del procedimento per il divorzio deve comunque intercorrere un periodo di tempo, che varia in base alla tipologia di separazione.

Divorzio breve. Come funziona

La Legge 55 del 06 maggio 2015 ha introdotto anche in Italia il divorzio breve, che riduce le tempistiche necessarie per la richiesta di divorzio. Prima della nuova norma infatti, i termini per passare dalla separazione (giudiziale o consensuale) erano fissati a tre anni. La nuova legge restringe i termini da tre anni a sei mesi in caso di separazione consensuale, e da tre anni a un solo anno in caso di separazione giudiziale, con decorrenza dalla data della prima udienza di presentazione davanti al tribunale per la ratifica della separazione stessa.

Oltre alle due forme di divorzio (e separazione) convenzionali (giudiziale e consensuale), la legge ha introdotto due ulteriori tipologie di divorzio, che facilitano molto il percorso, rendendolo anche più economico, e cioè quello tramite negoziazione assistita dei propri avvocati, e quello diretto, da formalizzare dinanzi all’ufficiale di stato civile (in questo caso sindaco, vicesindaco, assessore anziano), in Comune.

Per ottenere il divorzio rimane necessario un periodo di separazione ininterrotta, cioè di non coabitazione tra i due coniugi. Queste le tempistiche: dodici mesi in caso di separazione giudiziale, a decorrere dalla data di presentazione dei due coniugi dinanzi al tribunale competente sulla separazione; sei mesi in caso di separazione consensuale, dalla data di presentazione dei due coniugi dinanzi al tribunale competente (si contano sei mesi, sempre a partire dalla stessa data, anche in caso di passaggio da separazione giudiziale a consensuale); sei mesi dalla data certificata dell’accordo di separazione avvenuto tramite la negoziazione assistita dei propri avvocati; sei mesi dall’atto di accordo formalizzato in Comune davanti al Sindaco.

Presenza di figli

I termini fissati dalla nuova legge non cambiano in caso di coniugi con figli (maggiorenni o minorenni) o senza figli e restano gli stessi, a prescindere dalla presenza di figli e dalla loro autosufficienza. In caso di figli minorenni, maggiorenni incapaci, disabili o non economicamente sufficienti, invece, non è possibile formalizzare la separazione consensuale in Comune di fronte al Sindaco. I coniugi possono comunque intraprendere il percorso di separazione con le altre procedure.

Assegno di mantenimento e divorzile

L’assegno di mantenimento è un obbligo economico attribuito a uno dei due coniugi, sia in sede di separazione che di divorzio, se ci sono figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti, per garantire il loro diritto di essere mantenuti. L’emolumento può spettare, solo in sede di separazione, anche al coniuge non avente adeguati redditi propri e al quale non sia attribuibile la separazione. Per l’adeguatezza dei redditi, la Corte di Cassazione ha chiarito che la norma si riferisce al tenore di vita goduto durante il matrimonio e in relazione alle possibilità economiche dei coniugi.

L’assegno divorzile è la prestazione economica che va a sostituire l’assegno di mantenimento. Si tratta di un obbligo derivante dal dovere di solidarietà economica previsto dall’articolo 2 della Costituzione. Spetta per garantire l’autosufficienza economica dell’altro coniuge, ma non il mantenimento del tenore di vita precedente, come visto, invece, per l’assegno di mantenimento.

Riforma Cartabia: cosa cambia

Entrata in vigore lo scorso marzo, la riforma su divorzio e separazione introdotta dall’ex Ministra della Giustizia Cartabia, è stata applicata per la prima volta dal Tribunale di Milano il 9 maggio scorso, convalidando la separazione consensuale tra due coniugi che, attraverso lo stesso ricorso, hanno chiesto anche il divorzio. Poiché la legge prevede ancora che tra separazione consensuale e divorzio debbano passare almeno sei mesi, il tribunale, dopo avere provveduto a pronunciare la separazione, ha chiesto ai coniugi di comunicare, entro tale termine la loro volontà a non riconciliarsi, in modo che si possa formalizzare il divorzio in via definitiva.

Nel dettaglio, la riforma prevede un limite di 90 giorni per la prima udienza e un unico canale di giudizio, eliminando il passaggio davanti al presidente prima e al giudice istruttore poi. In presenza di figli la competenza spetterà al tribunale di residenza del minore, o a quello di chi riceve domanda di separazione e divorzio. La domanda potrà essere proposta dall’atto della separazione, anche se per sancire il divorzio occorreranno comunque il passaggio in giudicato della sentenza parziale di separazione e la cessazione ininterrotta della convivenza tra i coniugi.

Oltre a tutti i documenti utili per presentare l’istanza, sarà richiesto anche un piano genitoriale, in cui andranno descritte le attività quotidiane che impegnano i minori (dalle attività scolastiche o sportive fino a uno schema per gli incontri) in modo che il giudice possa decidere al meglio su affidamento e diritto di visita.

L’applicazione delle regole stabilite dalla Riforma Cartabia in materia di separazione e divorzio, permetterà ai coniugi un risparmio notevole, potendo depositare in tribunale un unico ricorso anziché due, come avveniva in precedenza. A risparmiare risorse ed energie, saranno anche i tribunali, dovendo gestire un unico fascicolo.

Sanzioni e casi di violenza

Con le nuove regole, il giudice potrà sanzionare la persona che accetta il piano genitoriale proposto, ma non lo rispetta nei tempi e nelle modalità. Previsto poi un risarcimento nel caso in cui una delle due parti dovesse omettere al giudice le proprie reali condizioni economiche, per poter pagare un contributo di mantenimento inferiore. La Riforma valorizza inoltre una serie di tutele nelle ipotesi di violenza familiare e domestica, al fine di salvaguardare le vittime, prevedendo specifici percorsi per questi casi.

Costi attuali

Ma quanto costa divorziare oggi? Posto che il modo migliore per risparmiare sul costo del divorzio sarebbe raggiungere un accordo preventivo col coniuge su custodia dei figli e gestione degli aspetti patrimoniali (l’alternativa è il divorzio giudiziale, con costi e tempi nettamente superiori per arrivare a sentenza), vediamo quali sono i costi medi stimati per divorzio giudiziale e consensuale.

Divorzio giudiziale. I costi del divorzio giudiziale dipendono da vari fattori, dalla tariffa dell’avvocato divorzista alla durata della causa. Il costo può andare indicativamente da un minimo di 5.000 euro a oltre i 15.000, se servono molti incontri per definire l’importo dell’assegno divorzile e le condizioni per l’affidamento e il mantenimento dei figli.

Divorzio consensuale. Se i coniugi in procinto di dividersi riescono a trovare un accordo, e in caso non vi siano figli minorenni o non autosufficienti o, ancora, trasferimenti patrimoniali da gestire, si può procedere con il divorzio congiunto, anche senza ricorrere a un avvocato, recandosi davanti al sindaco o ad un ufficiale preposto, purché siano quelli del Comune di residenza di uno dei due coniugi, o di quello che ha trascritto l’atto di matrimonio. La procedura di divorzio in Comune prevede un costo di circa 16 euro, che corrispondono ai diritti da versare all'Ufficio di Stato Civile. Differenti, anche se relativamente contenuti, i costi per divorzio congiunto in tribunale e per quello con negoziazione assistita (che consente, in alcuni casi, di gestire la procedura senza presentarsi in tribunale), che vanno dai 1.000 ai 3.000 euro, in base alla scelta dell'avvocato e alla complessità del caso.

Breve storia del divorzio in Italia

Il primo stato moderno della penisola italiana a consentire il divorzio fu il Regno d’Italia napoleonico (1805-1814), con il Codice civile napoleonico nel giugno 1805, seguito dal Regno di Napoli che, sotto il governo di Gioacchino Murat, emanò lo stesso codice, consentendo divorzio e matrimonio civile. Dopo l’Unità d’Italia venne avanzata, nel 1878, al neonato Parlamento, una proposta di legge per l’istituzione del divorzio, ma senza successo. Situazione che si ripropose più volte nel tempo, passando per i Patti lateranensi del 1929, con cui di fatto il divorzio venne “ibernato”, fino all’1 dicembre 1970, anno in cui venne introdotto nell’ordinamento giuridico italiano con la Legge n. 898 (la cosiddetta legge Fortuna-Baslini), accompagnata da forti polemiche.

Si arriva al Referendum sul divorzio del maggio 1974: chiamati a decidere se abrogare la legge Fortuna-Baslini o meno, gli italiani decisero di mantenerla in vigore.

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