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Movida selvaggia e rumori: quando è il Comune a dover pagare i danni

Alcune recenti sentenze della Cassazione obbligano amministrazioni comunali e gestori di attività commerciali a risarcire i residenti di condomìni e privati cittadini disturbati da avventori eccessivamente rumorosi

Movida selvaggia e rumori: quando è il comune a dover pagare i danni
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Dopo la sentenza della Cassazione del 23 maggio scorso, che si è pronunciata a favore della richiesta di risarcimento di una coppia di privati nei confronti del Comune di Brescia "per le immissioni di rumore" nella propria abitazione, sono molte le amministrazioni comunali a temere che possa innescarsi un “effetto valanga”. In sintesi, la sentenza della Suprema Corte stabilisce che se i rumori dovuti alla movida sono troppo forti ed invadenti (quindi nocivi per la salute di chi abita nelle vicinanze), e non viene garantito rispetto alle norme di quiete pubblica, il Comune ha il dovere di pagare i danni.

Guardando a precedenti pronunciamenti in merito, quasi tutti scaturiti da ricorsi di privati, la responsabilità del Comune è già stata riconosciuta, come avvenuto ad esempio nel 2019 nell'ambito di un contenzioso avviato da una coppia di Como, proprietaria di un’abitazione con affaccio diretto su una piazza, frequentata dai clienti di esercizi commerciali di somministrazione di alimenti e bevande: stesso esito del giudizio della Suprema corte dello scorso fine maggio. Alla tutela della salute, inoltre, la Cassazione aveva dedicato anche un’ordinanza del 2021, ritenendo legittimo il risarcimento per immissioni rumorose anche senza che fosse predisposta una perizia o provato un danno biologico.

Una sentenza che "preoccupa"

Ma quali risultati potrebbero produrre i principi enunciati dalla Cassazione riguardo l'obbligo del Comune di Brescia di tutelare la salute dei residenti, sui tanti condomìni italiani vittime del caos da movida? Altri condòmini potrebbero proporre azioni comuni a tutela della salute? In effetti, il rischio c’è, anche perché ormai (e chi vive nelle grandi città come Milano o Roma lo sa bene) il fenomeno dello “stress da movida” non è più circoscritto al solo week end (posto che questa sia una condizione “tollerabile”) e ad alcune zone centrali, ma risulta ormai spalmato su quasi tutti i giorni della settimana e distribuito a macchia di leopardo, con situazioni di disagio che in alcuni casi si trascinano anche ben oltre l’orario di chiusura dei locali “colpevoli” di attrarre gli amanti della vita notturna. Se a questo si aggiunge un non sempre “tempestivo” intervento delle forze dell’ordine, quando richiesto, l’esasperazione di chi si trova a subire, suo malgrado la “joie de vie" altrui fino alle 4 del mattino (e che magari si sveglia alle 7 per recarsi al lavoro), indubbiamente cresce.

Disagio crescente

L’elenco di casi simili a quelli già descritti potrebbe proseguire, percorrendo la penisola da Nord a Sud: da Milano, dove con due sentenze gemelle il Tar della Lombardia ha dato ragione ai residenti di un condominio che sorge in un tratto di strada su cui insistono numerosi locali, confermando i divieti imposti dal Comune agli esercizi commerciali e precisando che nessun danno si produceva all'attività di questi ultimi sottoposti alle prescrizioni per la tutela del diritto primario alla salute dei cittadini residenti, a Torino, dove un considerevole numero di soggetti aveva chiamato in causa il Comune a risarcirli dei danni provocati dagli effetti del rumore da movida, la cui richiesta è stata accolta dal Tribunale. E se il Consiglio comunale di Roma ha approvato una delibera che disciplina la gestione del rumore ambientale, a Napoli i cittadini riuniti in comitato, da anni, nei vicoli stretti del centro città chiedono interventi dell’amministrazione per il rumore prodotto dai bar. Situazioni che potrebbero giovarsi anch’esse di una pronuncia favorevole della Cassazione.

Quali strumenti per i singoli

Non è da escludere, dunque, che le sentenze già emesse possano costituire una base per l'avvio di nuove azioni intentate da privati che vivono e risiedono all'interno dei condomìni, anche partendo da altri presupposti, non solo nei confronti del Comune, ma anche degli stessi gestori degli esercizi che attirano la clientela “molesta”. Secondo il legislatore infatti, la querela potrebbe non essere sempre necessaria per perseguire le attività rumorose. Se infatti il Decreto legislativo 150/2022 ha introdotto il regime di procedibilità tramite querela per il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (come da articolo 659 del Codice penale), questa condizione di procedibilità può essere sostituita dalla costituzione in giudizio come parte civile della persona offesa. Questo stando alle conclusioni di una recente sentenza (19971/2023) della Suprema corte.

A motivare la pronuncia in tal senso, la condanna del Tribunale per il reato dell'articolo 659 del Codice penale, che aveva determinato il risarcimento del danno da parte del gestore di un bar perché disturbava, con gli schiamazzi della clientela e il funzionamento delle apparecchiature, il riposo di una persona che abitava nell'appartamento posto al piano superiore la propria attività. Nel caso trattato, al condannato, che aveva tentato inutilmente il ricorso, era stato contestato il fatto di non aver impedito gli schiamazzi della clientela, protraendo il disturbo della persona offesa, poi costituitasi parte civile.

Con querela o senza

Secondo la Cassazione inoltre, la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa non richiede particolari espressioni formali e può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengano la sua esplicita manifestazione; in caso di incertezza, poi, devono essere interpretati con un favore della querela.

Va considerata equipollente alla querela anche la costituzione di parte civile o la semplice riserva di costituzione di parte civile.

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