Politica

Clandestini/1 Chi fa la morale? Le Nazioni Unite dell’ipocrisia

La polemica internazionale ancora una volta si gonfia di livori nazionali, di mezzucci per una campagna elettorale della quale poco sappiamo, tantomeno che cosa l’opposizione proponga, quale agenda ricca non solo di valori conclamati ma anche di progetti realistici ci possa e voglia prospettare. Così, di una frase un po’ intemperante del ministro della Difesa, Ignazio la Russa, contro un rappresentante italiano dell'Onu, Laura Boldrini, si fa materia di scandalo, di ritorno al fascismo, di intenzione folle di muovere guerra alle Nazioni Unite da Palazzo Chigi e dintorni. Sarà bene ricordare che la signora Boldrini sta facendo la testimonial di se stessa in tv, e che la cosa più gentile che ha detto è che «i militari italiani adottano un comportamento inumano». Insomma, ognuno si assume le responsabilità delle enormità che pronuncia. Sarà anche bene ricordare che di questi clandestini respinti in tutta legalità e in regime di accordi internazionali, veniamo accusati solo noi e non la Libia, non la Spagna, eccetera.

Non si tratta solo di questo, che pure è perlomeno una stravaganza nei pesi e nelle misure del giudizio. Chi ha detto che l'Onu sia un organismo imparziale e onnisciente, che non si può criticare, contestare, al quale non si può rispondere? Da quale ideologia onusiana, se non quella dei settori più antiamericani della sinistra, oggi scimmiottati dal leader del Pd, Dario Franceschini, che l’hanno sempre usata per mettere in difficoltà gli Usa, e ora lo fanno per mettere in difficoltà il governo italiano, può sortire una visione tanto fortemente ideologica, quasi caricaturale, che disegna le Nazioni Unite come il possibile ideale buon governo del mondo?

Per fortuna non è così, vista la quantità, almeno il quaranta per cento, di Stati non democratici che ne fanno parte, e che vengono cordialmente invitati a presiedere le Commissioni per i Diritti Umani, o che la fanno da protagonisti nelle due presunte conferenze contro il razzismo, Durban 1 e 2, e speriamo che il 3 non ci sia, dove si fa invece professione di razzismo, terrorismo, antisemitismo. È stato un famoso avvocato liberal americano, Alan Dershowitz, nel libro «The Case for Israel» ad accusare l'Onu di aver perfino dato legittimità e copertura internazionale alla lotta armata, dando il riconoscimento ufficiale di popolo occupato non ai tibetani, ai curdi, agli armeni, ma solo ai palestinesi, che «hanno inventato e perfezionato il moderno terrorismo». Noi ricordiamo con vergogna il massacro di Srebrenica, nella ex Jugoslavia, quando i caschi blu olandesi dell’Onu non impedirono ai cetnici serbi di macellare settemila inermi bosniaci musulmani.

Ma l’elenco potrebbe essere lunghissimo, uno per tutti lo scandalo del cosiddetto «Oil for food», il petrolio in cambio di cibo e medicinali al popolo iracheno, che finì per metà nelle tasche di Saddam e compagni, per l'altra metà in quelle di funzionari delle Nazioni Unite, su fino all'ufficio dell'allora Segretario generale. Non uno di questi potenti signori è stato in grado di risolvere una crisi internazionale, e di qualcuno si potrebbe parlare di curriculum imbarazzante. Penso a Boutros Ghali, detto il Faraone, allo stesso Kofi Annan dello scandalo iracheno, all'austriaco Kurt Waldheim, ricattato dai sovietici per il suo passato nazista che tramò contro il mondo libero e a favore del comunismo dal suo trono al Palazzo di Vetro.

L'impotenza dell’Onu è continuata per mezzo secolo nell’Europa Orientale, dove dominava l’Urss che occupava uno dei seggi del suo ristrettissimo Consiglio di Sicurezza; in Asia, dove la faceva e la fa da padrona la Cina rossa che occupa un altro di quei seggi; negli spaventosi genocidi dell'Africa, ricordate il Rwanda. Ma storie sepolte e dimenticate fioccano anche sull’Alto Commissariato per i rifugiati, che in questi giorni si straccia le vesti sulla disumanità dei militari italiani verso i profughi. Una per tutte. Nel 1997 ci fu una manifestazione di protesta contro l’amministrazione del campo profughi di Kakuma, nel Nord-Ovest del Kenya, e un gruppo di rifugiati distrusse un capannone che era stato costruito dall’Acnur, trafugando razioni alimentari dai depositi.
L’Acnur decise di sospendere la distribuzione di cibo a tutti e di licenziare i rifugiati suoi dipendenti.

L’applicazione di queste pesantissime misure non fu risparmiata a nessuno degli oltre venticinquemila del campo, neanche alle donne incinte o ai bambini. Ma la cosa più terribile, secondo quanto scrive Francesco Verdirame, docente a Cambridge, è che «l'evento passò inosservato, così come altri casi di punizioni collettive in campi profughi in Africa orientale e occidentale».

In attesa di riforme profonde, perciò, sarà bene che il nostro governo, soprattutto dopo le ultime accuse e calunnie, eserciti critica e pressione forti contro le disfunzioni e i disfunzionari delle Nazioni Unite.

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