Musica

Un "classico" Paolo Conte conquista la Scala col jazz

Da "Aguaplano" a "Il maestro" il concerto spegne le polemiche. Con un repertorio senza barriere

Un "classico" Paolo Conte conquista la Scala col jazz

E poi sono bastati due minuti a spegnere le polemiche. Due minuti della iniziale, straordinaria, classicissima Aguaplano ad annientare giorni di discussioni sul Paolo Conte sì, Paolo Conte no alla Scala.

L'inizio del concerto più discusso degli ultimi anni, tra luci da club e pianoforte impregnato di tabacco, con l'oboe e il violoncello che avvolgevano la platea, ha confermato una volta di più che la musica non ha luoghi prestabiliti, non ha un «music code» come l'abbigliamento che va bene in un posto ma in un altro no per carità. La musica popolare, quando è superlativa, va bene ovunque, nel teatro lirico più famoso del mondo come nel pianobar più scalcagnato. Eppure per giorni ci si è chiesti se Paolo Conte (in abito scuro e tshirt) meritasse di essere il primo cantautore in scena alla Scala. Una «rissa intellettuale», come ha scritto Alberto Mattioli, alla fine della quale hanno vinto tutti, come ha previsto Alessandro Gnocchi qui sul Giornale. Ma il dibattito c'è stato e, come prevedibile, si è rivelato spesso polveroso e inamidato. Tant'è, basta soffiarlo via.

In ogni caso, il pubblico non si è posto il problema, ha esaurito le poltrone e si è goduto un concerto che rimarrà nella storia di questo teatro ma pure in quella dell'avvocato di Asti che ieri sera è arrivato sul palco sicuro come sempre, ma da buon monferrino emozionatissimo in silenzio, alla faccia degli 86 anni compiuti da poco. Qui siamo Sotto le stelle del jazz, uno dei brani che anche Paolo Conte pochi giorni fa nel suo studio di Asti ha definito «irrinunciabile». Un'ora e mezza in totale. Un intervallo di venti e poco più minuti. La ritualità sacrale del «tempio» non è stata scalfita, l'«orrido invasore» non ha neppure avuto bisogno di adattarsi alla bisogna perché lui stesso è già un «classico» e il suo repertorio discende spesso dal melodramma ricamato con il jazz. Paolo Conte è uno chansonnier che «si diverte e si estenua» Alle prese con una verde milonga, che scende «sul fondo» ma alle volte sale «molto alto» Recitando la propria musica. Perfetto in quella chiave personalissima che va da Art Tatum a Brel, gli piace giocare con le parole e i significati («Come di orchestra che precipita in un ventilatore al Grand-Hôtel» da Come di, terzo brano in scaletta) e si fa accompagnare da un ensamble pauroso, nel senso che fa paura tanto è esperto, padrone, temerario. Massimo Pitzianti a fisarmonica e bandoneon racconta un mondo, Francesca Gosio al violoncello è puntualissima e le coriste che coriste: Ginger Brew, Angie Brown e Desiree De Silva sono una voce sola, mai predominante, black. Paolo Conte lavora per sottrazione, come sempre. La voce va dritto al punto, non ci sono convenevoli, ogni parola ha un senso, ogni nota del piano serve a farcelo capire. Non è un caso che nella scaletta non ci sia Azzurro, il suo brano più famoso (grazie alla versione di Celentano) ma anche uno dei più rari nei suoi concerti. C'è da capirlo. «Ormai è il secondo inno italiano», ha detto qualche tempo fa.

E Paolo Conte è lontano dagli inni, dai formalismi stantii, dalle celebrazioni rituali che tanti e tanti anni fa gli fecero passare la voglia di trascorrere le mattine nel tribunale di Asti e lo consegnarono al jazz, alla musica più libera che c'è, quella che si può improvvisare ma solo se non sei un improvvisato. C'è tanto studio in questo concerto, ma è studio sui libri, sui dischi, sui film, non sugli strumenti. Paolo Conte non è un virtuoso ma ha la virtù del comunicare. Non parla mai al pubblico ma sa fa capire a tutti la propria lingua anche quando, come in Uomo camion, canta dei «segni amari dei piaceri sopportati, tiepide docce li hanno lavati e cancellati», insomma non proprio di immediata comprensione.

Se nell'intervallo si vedono anche Isabella Ferrari, Sorrentino («Conte ha creato un immaginario»), Maurizio Cattelan, Capossela, Giuliano Sangiorgi, Gianmarco Mazzi, Antonacci, Sgarbi e Madame, allora questo chansonnier da solo ha sedato la «rissa intellettuale» convincendo tutti senza neanche lo zuccherino dei selfie. La seconda parte è un po' più lunga ma vola via: Dancing, Gioco d'azzardo, la sontuosa Gli impermeabili, l'applauditissima Via con me (ripetuta anche alla fine) fino a quella che riassume tutto: Il maestro.

Paolo Conte è arrivato alla Scala solo a 86 anni ma la sua musica ci rimarrà per tanto e tanto tempo a venire.

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