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Cofrancesco, il liberalismo e la «comunità»

Cofrancesco, il liberalismo e la «comunità»

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Cofrancesco, il liberalismo e la «comunità»

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Dino Cofrancesco è un raffinato intellettuale, senza patria. Non lo puoi mettere nella cuccia della sinistra, non lo confini al mondo popolare, e non è un liberale di quelli che piacciono a questa rubrichetta. Ma ti fa pensare, alimenta il dubbio, getta la palla in un altro campo. Più nobile.

Inviando il suo ultimo libro, Per un Liberalismo comunitario (La Vela), una raccolta di un buon numero di saggi, ha allegato un bigliettino che dice tutto: «Il mio liberalismo è quello di Aron e di Berlin non quello di Antonio Martino e dei Brunoleoninisti... chiedo la tua indulgenza!». C'è poco da chiedere indulgenze, la sua introduzione è semplicemente favolosa, piena di spunti e con i liberali, diciamo classici per intenderci, condivide l'amore per la libertà, una certa allergia per l'establishment anche quando si definisce liberale e un grande rispetto per le tradizioni. Guai in questo caso, verrebbe da dire, definirle figlie dell'hayekiano ordine spontaneo. Cofrancesco scrive: «Comunitario si distingue dal liberalismo individualistico in virtù di questa consapevolezza: la libertà che c'è cara è sempre la libertà di una comunità storica determinata non è l'armatura vuota del calviniano Agilulfo, il Cavaliere inesistente». Il senso della Nazione, della Famiglia, delle tradizioni e della comunità sono fondamentali per il buon dispiegamento del liberalismo comunitario contrapposte a «un liberalismo universalistico che non comprende più la necessità delle frontiere in virtù della sua concezione del diritto cosmopolitico e della sua visione di un'economia globale che guarda solo i continenti qui in cui si vende e si compra meglio». È davvero questa la visione dei liberali alla Martino?

Se ci possiamo permettere un piccola chiosa agli intriganti ragionamenti di Cofrancesco, vorremmo semplicemente dire che spesso il Professore critica una caricatura del liberalismo individualistico che, pure esistendo, non è la sua vera cifra. È vero che la Nazione è importante e che la politica senza comunità non sembra avere gran senso ed è innegabile che «la scomparsa del culto di San Gennaro comporterà lo svuotamento del Duomo di Napoli, non la sostituzione dei fedeli superstiziosi con fedeli che hanno un'idea più elevata e vera di Dio». Non ci sono dubbi nel ritenere che «ogni idealità ha bisogno di una base terrena, materiale su cui poggiare».

Ma perché ritenere l'individuo liberale e libertario degli austriaci cosa molto diversa da quella che auspica Cofrancesco? Leggere Cofrancesco serve a sforzarsi di porsi in ogni istante questa domanda.

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