Politica

Il commento / Il sapore amaro della gauche caviar

Gauche caviar è la sintetica espressione francese che traduciamo in «sinistra al caviale», capace di indicare quel variegato mondo, uniforme nel suo stile di vita e nelle presunzioni morali, fatto di intellettuali e imprenditori accomunati dalla ricchezza e dalle idee progressiste. Tom Wolfe, in un memorabile articolo pubblicato nel 1970 dal New York Times, li definì radical chic, indicando l’abitudine delle ricche signore di Manhattan d’invitare ai party esponenti del gruppo terroristico delle Pantere Nere, profondendo champagne e tartine al caviale. Champagne left, si dice in Gran Bretagna per indicare i laburisti con lussuose residenze in Toscana e Costa Azzurra.
La gauche caviar, in queste ore, festeggia la mancata concessione dell’estradizione di Cesare Battisti in Italia. L’Internazionale delle giacche di velluto, delle sciarpette multicolori, degli appelli impegnati e degli appartamenti lussuosi in centro solidarizza con il pluriomicida italiano.
«Dobbiamo salutare l’eccezionale sagacia del presidente Luis Ignacio Lula, che ha saputo elevarsi al di sopra di questo clima passionale per pronunciare la non estradizione di Cesare Battisti, basandosi su elementi fattuali, giuridici e umani», ha annotato la scrittrice francese Fred Vargas. Il suo messaggio è apparso, guarda caso, sul sito della rivista La regle du jeu diretto dal filosofo Bernard Henri Levy, da sempre l’icona dei radical chic europei, esponente di punta della Nouvelle Philosophie.
In tutti questi anni della sua lunga latitanza, più o meno nascosta, Cesare Battisti ha potuto contare su una vasta rete di complicità che lo ha sorretto materialmente e politicamente. Le latitanze costano e qualcuno ha pagato. E fatto più grave, i suoi ricchi amici hanno unito al sostegno concreto una sorta di condivisione morale delle sue nefandezze. Sono loro, forti di un’egemonia nei media, ad aver abilmente orchestrato, prima in Francia e poi in Brasile, una campagna tesa ad accreditare l’immagine del perseguitato politico, colpevolizzato per le sue idee di sinistra.
I decenni passano le abitudini restano, i gauche caviar parigini sono i parenti di quegli intellettuali che in Italia, dagli appartamenti del centro di Milano e dalle terrazze romane, teorizzavano che non bisognava «stare né con lo Stato né con le Br». Coloro che possedendo grandi giornali ignorarono volutamente il rapporto del prefetto milanese Libero Mazza che diagnosticava con impressionante lucidità l’evoluzione della contestazione in terrorismo. Gli stessi che fecero il vuoto attorno a Walter Tobagi lasciandolo solo con le sue coraggiose idee.
Non molto tempo fa, a molti italiani vennero i brividi nel leggere l’intervista rilasciata dall’attrice Fanny Ardant che affermava testualmente: «Ho sempre considerato il fenomeno Brigate Rosse molto coinvolgente e passionale... quella era un’epoca in cui si sceglieva un campo...».
Ben oltre la conclusione materiale della vicenda Battisti occorrerà riflettere su tutto ciò, sulle scorie del leninismo e sulle presunzioni morali di un’opulenta sinistra accomunata dallo stesso tipo antropologico. Ci sono le colpe di Battisti, consacrate dalle sentenze dei tribunali, ci sono quelle dei suoi complici a questo punto non solo morali. Vivere tra places des Vosges e i giardini del Lussemburgo, nel perimetro più caro al mondo, dove si concentrano gran parte dei firmatari degli appelli pro Battisti, è bello oltre che comodo.

Il caso Battisti è anche questo un concentrato delle ipocrisie della sinistra globale.

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